Gillette è, probabilmente, uno di quei brand che pensiamo essere “standard” nella comunicazione: payoff immutato negli anni, target solido, ben preciso, comunicazione un po’ old school e tanto televisiva ma, comunque, efficace.
E, invece, ecco che la situazione in campo si rovescia, all’improvviso: il brand, infatti, ha preso una posizione culturale e sociale che ha smosso le folle. Proprio mentre il 2018 era agli sgoccioli, Gillette ha lanciato una nuova campagna video, dedicata al movimento americano #MeToo, attivo nel monitorare e contrastare ogni discriminazione sessuale. Un video lungo, oltre il minuto e mezzo, ricchissimo di immagini ed evocazioni, il cui messaggio desidera spingere gli uomini a reagire – per esempio – davanti a situazioni violente e inappropriate che compongono un mosaico di comportamenti definito “toxic masculinity”.
Non stupisce, quindi, che il video abbia ricevuto intense critiche sui social media: una voce dal coro, forse la più forte, è quella di una nutrita schiera di uomini che chiedono di boicottare il marchio P&G, a cui Gillette appartiene, lamentando una “demascolinizzazione” del brand.
Lo spot che ha fatto il giro del mondo:
Il video è intitolato “We Believe: the Best Men Can Be” ed è diventato immediatamente virale contando oltre 4 milioni di visualizzazioni su YouTube in 48 ore, tra generose lodi e critiche rabbiose: la nuova campagna pubblicitaria della compagnia gioca sul trentennale slogan Gillette “the best a man can get”, stravolgendolo con un gioco di parole e trasformandolo in un “the best the men can be”. Da “avere”, a “essere”.
Il tutto comincia con uno zapping, un tuffo nel passato, di vecchie ADV di brand dove l’uomo è al centro del suo mondo. Un videowall sfondato – all’improvviso – da ragazzini che si inseguono. E, ben presto, tutto cambia, tutto diventa attivo, in una call to action – è proprio il caso di dirlo – che non si risolve in una semplice frase, ma che si compone di scene, di frammenti, dove protagonisti sono uomini che intervengono per fermare le lotte tra ragazzi e richiamare al rispetto altri uomini che molestano verbalmente donne per la strada. Fino al climax finale. L’annuncio è stato diretto da Kim Gehrig, videomaker dell’agenzia Somesuche, con sede nel Regno Unito. E proprio Gehrig sembra essere un habitué della provocazione, visto che anche la curiosa campagna”Viva La Vulva” del brand svedese di prodotti per l’igiene intima Libresse, porta la sua firma.
La querelle:
In poche ore, la pagina YouTube dello spot è diventata un vero e proprio campo di battaglia culturale. Non solo: la diatriba si è poi trasferita su Twitter, dove personaggi più o meno famosi degli USA – tra il consigliere di Trump e la nipote di Martin Luther King – hanno espresso il loro giudizio partendo dallo spot, e schierandosi così a favore, o contro, una battaglia.
Quando i brand divulgano messaggi positivi:
Non è più sufficiente per i brand vendere, semplicemente, un prodotto: i clienti, infatti, chiedono sempre più spesso valori. Perché mai come oggi il potere dei brand di influenzare la cultura, tra social e advertising, è stato sdoganato: meglio, dunque, diventare portatori di messaggi positivi. E Gillette lo ha fatto, stravolgendo l’immaginario-target di uomini forti, sicuri, perfetti, in una visione più profonda e avanguardista, con un “semplice” spot che si appella agli uomini di oggi e a quelli di domani.