Negli ultimi 50 anni, l’industria musicale è andata incontro a numerosi e profondi cambiamenti, a partire dai supporti di riproduzione musicale: dagli anni ‘70 ad oggi siamo passati dai dischi in vinile alle musicassette, dai cd agli mp3. Adesso, l’ultima frontiera musicale è costituita dalle piattaforme streaming, che permettono di ascoltare tutto senza possedere niente più di un cellulare e un abbonamento a un’app.
La musica al tempo del Cloud
Parlando di servizi di streaming musicale, non possiamo che prendere ad esempio Spotify, il primo e il più utilizzato a livello mondiale, con 248 milioni di utenti attivi al mese.
L’app è nata nel 2008 dall’ingegno di due imprenditori svedesi, Martin Lorentzon e Daniel Ek.
L’idea di base nasce due anni prima, nel 2006: affaticati da lunghe sessioni di brainstorming, i due soci prendono l’abitudine di ascoltare musica al computer per rilassarsi. Così facendo, si rendono conto che scaricare brani e album illegalmente richiede tempo, la qualità audio lascia spesso a desiderare e c’è perfino il rischio di prendersi qualche virus. Quindi arriva l’idea: una piattaforma legale in cui sia possibile ascoltare musica a ruota libera, potendo scegliere fra un ampio catalogo di canzoni, tutte disponibili in remoto.
Il progetto dei due imprenditori anticipa di un paio d’anni il boom del Cloud Computing, sfruttandone appieno i vantaggi.
La musica su misura per te
I vantaggi dati dal Cloud costituiscono una larga fetta del successo di Spotify: a fare la parte del leone è sicuramente il grande assortimento di canzoni (più di 50 milioni) subito disponibili.
Il valore aggiunto però è la personalizzazione del servizio: in base ai tuoi ascolti, Spotify ti consiglia nuova musica e crea playlist su misura per te!
A dicembre 2019, ha spopolato la funzionalità “Wrapped”, con cui Spotify presenta una panoramica degli ascolti degli utenti nel corso dell’intero anno e, in questo caso, anche del decennio appena trascorso.
Il resoconto viene mostrato tramite animazioni e testi coinvolgenti che puntano sull’emotività dell’utente.
Spotify instaura una connessione profonda con i propri consumatori, ricordando la data in cui si sono iscritti (es. “Sei con noi dal 2014, questo decennio non sarebbe stato lo stesso senza di te!”) e ringraziandoli per il tempo “che abbiamo passato insieme”.
Naturalmente, Spotify offre la possibilità di condividere sui social le schede della presentazione: il successo è stato tale che la schermata che presentava il grafico con i generi musicali più ascoltati è diventata un meme, qui proposto da Sapore Di Male.
Altre ragioni dietro al successo di Spotify, in grado di distinguerla dai suoi principali competitor (Apple Music, YouTube Music), includono il fatto che sia arrivata per prima (ha debuttato in Europa nel 2008 e negli USA nel 2011) e che sia multi-piattaforma, compatibile con qualsiasi device. Gli utenti ne apprezzano anche l’interfaccia e la componente social.
Fondamentale risulta essere la versione gratuita per PC e tablet, che – a differenza dell’analoga versione per smartphone – offre totale libertà di scelta sui brani da ascoltare; unica pecca: la pubblicità. Questo servizio limitato spinge gli utenti a iscriversi alla versione Premium per poter godere delle stesse funzioni su smartphone, e senza pubblicità.
Si stima che circa il 75% degli utenti si iscriva a Spotify Premium a seguito della prova gratuita di tre mesi.
L’effetto sull’industria musicale
Il boom delle piattaforme musicali di streaming ha contribuito al calo dei download illegali: secondo una ricerca di Similarweb per Ifpi e Fimi, la pirateria musicale in Italia si è ridotta di oltre il 50% fra il 2017 e il 2019.
A contribuire a questo trend ci ha pensato anche una maggiore attenzione da parte delle autorità e delle stesse case discografiche, che setacciano il web oscurando qualunque possibile link sospetto.
È quindi più difficile accedere a contenuti pirata rispetto a una decina di anni fa e, soprattutto, bisogna saperlo fare, conoscere i siti o i programmi giusti e sapersi proteggere da eventuali minacce informatiche. Insomma, la pirateria non è cosa da tutti.
Aggiungiamoci il fatto che la maggior parte degli utenti, oggi, accede a musica e contenuti video tramite il proprio smartphone, e sul cellulare è più difficile “scaricare” illegalmente. L’utente medio, quindi, preferisce di gran lunga pagare per risparmiare tempo e fatica.
Gli effetti sull’industria musicale sono contrastanti. Da un lato si criticano gli scarsi compensi agli artisti, dall’altro ci si rallegra del fatto che i guadagni e le posizioni in classifica dei brani siano frutto anche di ascolti occasionali.
Al centro c’è quindi la scelta degli utenti e la più completa meritocrazia, che va oltre alla possibilità economica degli stessi (che accedono alla piattaforma gratuitamente o con solo 9,99 euro al mese) e che prende in considerazione l’effettivo numero di riproduzioni del brano. Se un tempo, infatti, nell’acquisto di un singolo o di un album era prevista un’unica transazione economica fra consumatore e artista, nell’era del Cloud i consumatori intrattengono con l’artista una transazione economica inferiore, ma più continuativa, che si riflette anche in classifica: è il caso di “All I Want For Christmas Is You” di Mariah Carey che, dopo ben 25 anni, ha raggiunto la prima posizione nella chart dei singoli americana proprio grazie alle numerose riproduzioni durante il periodo natalizio.
Insomma, è il caso di dirlo: la musica è davvero cambiata.