Un curioso caso successo nei giorni scorsi ha portato la nostra attenzione, qui in Siks ADV, sul tema della censura, raccontato con dovizia di particolari da Finestre sull’Arte: Londra e Vienna si sono fronteggiate in un testa a testa vivo, acuto e divertente sul tema pruderie (legato alle nudità esposte nei quadri di Schiele, di cui si celebrerà il centenario della morte, censurati nella Metro della capitale inglese). Un discorso, questo, che ingloba censura, come abbiamo detto, ma anche arte e pubblicità, e che hanno determinato la risposta di Vienna attraverso affissioni dal gusto puramente advertising, corredate di payoff scardinante e hashtag. Insomma, una campagna di tutto rispetto in risposta a una censura fin troppo puritana.
Sì, perché è proprio la pubblicità a essere tuttora sottoposta a questa norma di controllo, e – quasi sempre – a scapito della sua originalità. Provocazione, irriverenza, a volte mancanza di pudore: tratti che hanno determinato il successo di alcune tra le campagne censurate che hanno maggiormente creato scalpore, e portato alla gloria art director, copywriter, fotografi e intere agenzie.
C’è di più: advertising, pubblicità, réclame. Diversi nomi, per un’anima unica che, dalla sua nascita – nel ridente periodo della Belle Époque – ha visto cambiamenti di forma, di trasmissione del messaggio, per un obiettivo sempre cangiante: dalla semplice brand awareness, come i guru del marketing la chiamerebbero oggi, collegata alla vendita di un bene o un oggetto, puntando sulla sua bellezza, utilità e unicità (un esempio sono le magnifiche pubblicità Art Nouveau firmate da Giovanni Maria Mataloni e ora in mostra a Treviso), fino ai tempi moderni della censura di quei messaggi giudicati, alle volte, troppo ammiccanti, o fuorvianti, per la società.
E, se è pur vero che a Natale siamo tutti più buoni, oggi ci sentiamo un tantino cattivelli, e vi proponiamo la nostra personale selezione di advertising censurate in una carrellata tra anni ‘60, ‘90, 2000, attualità, nel panorama italiano ed internazionale.
United Colors of Benetton: galeotto fu il bacio…
La provocazione dell’anno 1991 è firmata, ça va sans dire, da Oliviero Toscani, che cura gli scatti di quasi tre decenni di campagne pubblicitarie dello storico marchio trevigiano. Una costante: il contrasto tra le tinte unite del marchio, candide protagoniste spesso anche delle advertising, in contrasto con i messaggi forti e mordenti che escono dai primi e primissimi piani del fotografo. Una pubblicità, questa del bacio a fior di labbra tra prete e suora, che ha scatenato le ire del Vaticano, e di numerose associazioni religiose tra Italia, Francia e Germania. Una mossa furbetta del brand che la censura, sia italiana che d’Oltralpe, non ha potuto non mettere a tacere.
Vintage e ammiccante: Chef Kenwood, 1963.
Dal payoff scelto dal brand americano di elettrodomestici da cucina – “I’m giving my wife a Kenwood” – al messaggio intrinseco di questa campagna pubblicitaria del sogno americano datata 1963: “Chef – il nome del robot da cucina – fa tutto, tranne che cucinare. Ed è per questo che esistono le mogli” sembrerebbe esclamare il marito dall’espressione sorniona, mentre la moglie lo abbraccia, estasiata. All’epoca, questa pubblicità creò scalpore: non tanto per il messaggio che oggi definiremmo sessista e di genere, quanto per le espressioni audaci dei protagonisti dell’immagine unite a un payoff che ammicca ai doveri coniugali. Un intervento di censura mediatica, quindi, oltre a quella dei benpensanti d’oltreoceano dell’epoca.
“Choose one”: una sottile linea di accusa in difesa dei bambini
Restiamo sempre negli USA,ma passiamo ai giorni nostri : Moms Demand Action, un movimento di madri americane che richiede la tutela dei più piccoli su diversi fronti, ha commissionato nel 2016 questa campagna, dal titolo “Choose one”. Un messaggio chiaro, lampante: è più pericoloso l’ovetto Kinder – per via delle dimensioni delle «sorpresine» che possono essere ingoiate – o il fucile d’assalto impugnato dalla bambina e in dotazione all’esercito USA e acquistabile in ogni armeria del paese?
Paragone, questo, che non è piaciuto per nulla all’ente censorio americano figlio del Maccartismo e ancora oggi in vigore. Della stessa serie: il pallone da Dodgeball, e la fiaba di Cappuccetto Rosso. Il termine di paragone è, ovviamente, sempre l’AK47.
“Mental Wealth” – Playstation Sony, 1999
Tra uno zapping e l’altro, e tra i primi video di MTV Italia, è comparsa questa pubblicità, definita dall’ente censorio italiano pericolosa e non adatta a un pubblico facilmente impressionabile e minorenne. “Mental Wealth” era il titolo della campagna spot TV del lancio di Sony Playstation diretta da Chris Cunningam, notorio regista di video musicali dell’artista techno Aphex Twin, tradotta in Italia con “Ricchezza Mentale” e che vedeva il paragone tra una nuova ed esaltante esperienza di gioco, con un nuovo livello di conoscenza e di elevazione, quasi alienante. Complice un messaggio un po’ spinto, ma perfettamente in linea con lo spirito gaming del prodotto, lo spot è stato eliminato da ogni fascia pubblicitaria garantita dopo due mesi di trasmissione. Ma, nonostante questo, ha segnato una generazione.
Quasi 20 anni dopo, Playstation strikes again
A 20 anni di distanza Playstation Sony fa riparlare di sé, con una campagna decisamente meno acuta, meno sottile e molto più bonaria.
L’avete già fatto oggi? Scommetto che vi è piaciuto. Quante volte l’avete fatto ieri? Temete di farlo troppo spesso? Lo fate anche in camera, sotto le coperte? Preferisci la cucina o il bagno? O forse ti piace farlo in giardino?
Una serie di domande ammiccanti poste da una dottoressa provocante allo spettatore di là dallo schermo: 50 secondi di mosse feline che sono valsi una censura immediata. Per via del cattivo gusto, delle accuse di sessismo, il colosso Sony ha visto mutilata la sua campagna, non solo in Italia, dedicata al lancio del Remote Play, un sistema di gioco in streaming, cancellata anche dall’ormai puritano YouTube.