“Ok, Google. Come posiziono il mio sito nella SERP ora che tutti fanno ricerche vocali?”.
La situazione è quasi paradossale: usiamo sempre più spesso gli assistenti vocali, soprattutto sul cellulare, ma non ne sappiamo ancora abbastanza.
Che la parola d’ordine sia “Hey Siri!”, un più caustico “Alexa” o il celeberrimo “Ok Google”, la funzione di comando e ricerca vocale è decisamente un trend da non sottovalutare, i cui concetti di base — il multitasking, l’interattività — sono in grado di influenzare la SEO e anche il content marketing.
Ma andiamo con ordine.
Il motivo del successo
Secondo Comcast, un possessore di smartphone su due utilizza questa tecnologia e uno su tre la utilizza quotidianamente.
Ma perché viene utilizzata?
Beh, principalmente perché è comoda. È un po’ la stessa logica dietro all’utilizzo dei messaggi vocali: parlare è molto più semplice e veloce rispetto a scrivere. Soprattutto mentre si sta facendo qualcos’altro, ad esempio mentre si guida o si cammina per strada.
Non a caso, il comando più gettonato è la richiesta di indicazioni stradali, seguita dalle chiamate e dai messaggi. Poi ci sono le ricerche di informazioni, che ci portano a parlare non più solo di “comando vocale”, ma di “ricerca vocale”, in grado di impattare sulla SEO.
Ricerche vocali e SEO
Un dato uscito sul web qualche anno fa, poi smentito, profetizzava che, entro il 2020, il 50% delle ricerche sarebbero state vocali.
Ad oggi, le ricerche vocali costituiscono il 20% delle ricerche totali su Google, e possiedono caratteristiche proprie e relativi accorgimenti da adottare in ottica SEO. Come abbiamo già spiegato, l’utente che fa ricerche vocali vuole risparmiare tempo. Di conseguenza, consulterà ancora meno risultati rispetto a chi effettua una ricerca testuale.
Per un sito risulta quindi decisamente importante apparire alla “posizione zero”, quella del “featured snippet” che Google inserisce nella parte superiore della pagina dei risultati di ricerca. È importante, poi, che il testo risponda alla domande che gli utenti pongono agli assistenti virtuali, precedute solitamente dai pronomi “chi”, “cosa”, “come”, “dove” e “perché”.
Le query non si limitano quindi alle parole chiave, ma diventano più lunghe, complesse e colloquiali.
Non a caso, nel 2019 Google ha introdotto BERT, l’algoritmo di ricerca in grado di comprendere i processi del linguaggio naturale (Natural Language Processing), ad esempio il significato di una parola all’interno di un contesto. Quest’innovazione premierà ancor più i contenuti che utilizzeranno un linguaggio naturale e che si riveleranno essere di valore per gli utenti.
La voce nel marketing
Secondo una ricerca di Adobe, gli utenti vorrebbero che gli assistenti virtuali fossero presenti su più dispositivi e che, tramite questi, fosse possibile effettuare anche azioni più complesse.
Insomma, il pubblico sembra aver recepito bene la presenza degli assistenti virtuali e auspica un loro maggiore utilizzo in futuro: perché non approfittarne, quindi? Attraverso gli assistenti vocali è possibile creare annunci vocali interattivi e personalizzati grazie alle informazioni acquisite dall’utente.
Gli assistenti vocali infatti raccolgono e rielaborano i dati del consumatore, prendendo in analisi le sue ricerche precedenti, la localizzazione, il dispositivo che sta usando, etc.
Nasce però il problema della privacy, che costituisce ad oggi uno dei principali ostacoli alla diffusione degli assistenti virtuali.
Infine, il principio che ha determinato il successo della ricerca vocale, ovvero il concetto di multitasking, si adatta bene anche all’ascolto: sempre più consumatori si ritrovano ad ascoltare podcast on demand, e questa è un’altra opportunità da sfruttare per le aziende.
Fornire un contenuto di valore ai consumatori, di cui poter usufruire quando desiderano (mentre guidano, fanno le faccende di casa, durante l’attività fisica, mentre viaggiano, etc), permette sorprendentemente un alto grado di coinvolgimento emotivo, coadiuvato anche dal tono della voce, in questo caso non “virtuale”.