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Customer Journey: com’è cambiato nell’era digitale

22 Agosto 2021

Negli ultimi 10 anni, il mondo è profondamente cambiato.
Le trasformazioni tecnologiche hanno rivoluzionato il comportamento dei clienti e il loro rapporto con i brand.
È chiaro, dunque, che bisogna ripensare il customer journey rispetto a come l’abbiamo concepito finora.

Il modello AIDA e le 4 A

Quando si parla di customer journey, uno dei modelli più longevi è l’AIDA, ideato dal pubblicitario Elias St. Elmo Lewis alla fine dell’800.
Il termine viene coniato in quanto acronimo di:

  • Attention
  • Interest
  • Desire
  • Action

Il modello si poneva infatti l’obiettivo di attrarre l’attenzione, stimolare l’interesse, suscitare il desiderio e spingere all’azione.

Successivamente, Derek Rucker ne ha proposto una versione revisionata, quella delle 4 A:

  • Aware
  • Attitude
  • Act
  • Act again

In poche parole, il cliente apprende dell’esistenza del brand (aware), se ne fa un’opinione (attitude), decide se acquistarlo (act) e, se soddisfatto, lo acquista nuovamente (act again).

Un nuovo customer journey, le 5 A

Oggi, come evidenziato dal professor Philip Kotler, il modello lineare delle 4 A richiede un aggiornamento che tenga conto dei principali cambiamenti che l’era digitale ha portato con sé:

  • Un tempo era il singolo cliente che si formava un’opinione su un brand, mentre oggi tale opinione è influenzata dalla comunità presente sul web. Tale dinamica risulta fondamentale anche nella fase di aware, durante la quale i clienti cerca informazioni da chi già conosce il brand e ne ha acquistato il prodotto o servizio.
  • Un tempo la fedeltà in un brand era identificata nell’acquisto ripetuto dello stesso, mentre oggi acquista un nuovo volto, manifestandosi nella disponibilità del cliente a consigliare un prodotto ad altre persone.

Sulla base di tali cambiamenti, appare opportuno adottare un nuovo modello di customer journey, descrivibile attraverso 5 A:

  • Aware
  • Appeal
  • Ask
  • Act
  • Advocate

Vediamole nel dettaglio:

  • Aware (scoperta)
    In questa fase, il cliente è esposto a un’ampia varietà di brand attraverso le sue esperienze passate, la pubblicità e/o il passaparola. Per farsi notare risulta dunque fondamentale trasmettere i valori del proprio marchio, differenziandosi dagli altri.
  • Appeal (attrattiva)
    A questo punto, il cliente è consapevole dell’esistenza del brand: è il momento giusto per sfruttare il “fattore wow”, ossia la capacità di lasciarlo senza parole con qualcosa di sorprendente (che supera le aspettative), personale (innescato solo da chi lo sperimenta) e “contagioso” (che viene raccontato agli altri).
  • Ask (ricerca)
    Il cliente inizia a svolgere ricerche sul brand da cui si sente attratto, ricercando informazioni sul web e/o chiedendo opinioni ad altri utenti, ad amici e familiari: è proprio in questo momento che il suo viaggio si trasforma da percorso individuale a percorso sociale, basato sull’interazione con altri individui e/o con il brand stesso. Per questo motivo è fondamentale, per un marchio, avere una presenza ramificata su tutti i canali, mantenendo una buona reputazione online e offline.
  • Act (azione)
    Il cliente, persuaso dalle informazioni trovate, decide di agire, acquistando il prodotto. Il brand deve assicurarsi che l’esperienza sia positiva e memorabile, in modo che il cliente proceda al successivo “step”, il passaparola.
  • Advocate (passaparola)
    Il momento più alto del percorso non è più solo l’acquisto ripetuto, ma la raccomandazione del prodotto ad altri: un cliente soddisfatto diventa il miglior “testimonial” di un brand. Per far sì che questo avvenga, è necessario “coccolare” il cliente anche – e soprattutto – a seguito dell’acquisto, continuando a riservargli un trattamento speciale.

Vuoi sapere come far passare i tuoi potenziali clienti attraverso tutte le fasi del costumer journey? Contattaci!

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Filed Under: Creatività, SEO

Assistenti vocali, fra multitasking e SEO vocale

26 Febbraio 2020

“Ok, Google. Come posiziono il mio sito nella SERP ora che tutti fanno ricerche vocali?”.
La situazione è quasi paradossale: usiamo sempre più spesso gli assistenti vocali, soprattutto sul cellulare, ma non ne sappiamo ancora abbastanza.
Che la parola d’ordine sia “Hey Siri!”, un più caustico “Alexa” o il celeberrimo “Ok Google”, la funzione di comando e ricerca vocale è decisamente un trend da non sottovalutare, i cui concetti di base – il multitasking, l’interattività – sono in grado di influenzare la SEO e anche il content marketing.
Ma andiamo con ordine.

Il motivo del successo

Secondo Comcast, un possessore di smartphone su due utilizza questa tecnologia e uno su tre la utilizza quotidianamente.
Ma perché viene utilizzata?
Beh, principalmente perché è comoda. È un po’ la stessa logica dietro all’utilizzo dei messaggi vocali: parlare è molto più semplice e veloce rispetto a scrivere. Soprattutto mentre si sta facendo qualcos’altro, ad esempio mentre si guida o si cammina per strada.
Non a caso, il comando più gettonato è la richiesta di indicazioni stradali, seguita dalle chiamate e dai messaggi. Poi ci sono le ricerche di informazioni, che ci portano a parlare non più solo di “comando vocale”, ma di “ricerca vocale”, in grado di impattare sulla SEO.

Ricerche vocali e SEO

Un dato uscito sul web qualche anno fa, poi smentito, profetizzava che, entro il 2020, il 50% delle ricerche sarebbero state vocali.
Ad oggi, le ricerche vocali costituiscono il 20% delle ricerche totali su Google, e possiedono caratteristiche proprie e relativi accorgimenti da adottare in ottica SEO. Come abbiamo già spiegato, l’utente che fa ricerche vocali vuole risparmiare tempo. Di conseguenza, consulterà ancora meno risultati rispetto a chi effettua una ricerca testuale.
Per un sito risulta quindi decisamente importante apparire alla “posizione zero”, quella del “featured snippet” che Google inserisce nella parte superiore della pagina dei risultati di ricerca. È importante, poi, che il testo risponda alla domande che gli utenti pongono agli assistenti virtuali, precedute solitamente dai pronomi “chi”, “cosa”, “come”, “dove” e “perché”.
Le query non si limitano quindi alle parole chiave, ma diventano più lunghe, complesse e colloquiali.
Non a caso, nel 2019 Google ha introdotto BERT, l’algoritmo di ricerca in grado di comprendere i processi del linguaggio naturale (Natural Language Processing), ad esempio il significato di una parola all’interno di un contesto. Quest’innovazione premierà ancor più i contenuti che utilizzeranno un linguaggio naturale e che si riveleranno essere di valore per gli utenti.

La voce nel marketing

Secondo una ricerca di Adobe, gli utenti vorrebbero che gli assistenti virtuali fossero presenti su più dispositivi e che, tramite questi, fosse possibile effettuare anche azioni più complesse.
Insomma, il pubblico sembra aver recepito bene la presenza degli assistenti virtuali e auspica un loro maggiore utilizzo in futuro: perché non approfittarne, quindi? Attraverso gli assistenti vocali è possibile creare annunci vocali interattivi e personalizzati grazie alle informazioni acquisite dall’utente.
Gli assistenti vocali infatti raccolgono e rielaborano i dati del consumatore, prendendo in analisi le sue ricerche precedenti, la localizzazione, il dispositivo che sta usando, etc.
Nasce però il problema della privacy, che costituisce ad oggi uno dei principali ostacoli alla diffusione degli assistenti virtuali.
Infine, il principio che ha determinato il successo della ricerca vocale, ovvero il concetto di multitasking, si adatta bene anche all’ascolto: sempre più consumatori si ritrovano ad ascoltare podcast on demand, e questa è un’altra opportunità da sfruttare per le aziende.
Fornire un contenuto di valore ai consumatori, di cui poter usufruire quando desiderano (mentre guidano, fanno le faccende di casa, durante l’attività fisica, mentre viaggiano, etc), permette sorprendentemente un alto grado di coinvolgimento emotivo, coadiuvato anche dal tono della voce, in questo caso non “virtuale”.

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Link building nel 2019: una strategia ancora valida?

18 Luglio 2019

Croce e delizia di ogni SEO, la link building è una delle strategie per l’ottimizzazione più datata. O forse converrebbe dire longeva? Già, perché in ogni piano SEO canonico, questa parte è tuttora imprescindibile. Certo, Google si evolve, e cambiano – di conseguenza – pure le modalità di fare search engine optimization, ma la link building sopravvive. Anche oggi, nel 2019, con qualche accorgimento e attenzione in più.

Il backlink è naturale

Per Google, “a natural backlink is a good link”. E anche per noi. Infatti, siamo al corrente che Google apprezza particolarmente ciò che è per lo più organico e che, quindi, risponde in maniera non strategicamente commerciale alle richieste di un utente che naviga nel suo vasto mare. Di conseguenza, anche la link building non può esimersi da questo diktat.

Secondo Search Engine Journal, ecco la formula perfetta per un link naturale:

  • non ha parametri di tracciamento;
  • non appartiene a  contenuti sponsorizzati o a pagamento;
  • non usa un reindirizzamento tramite JavaScript e non è legato in alcun modo a strumenti di monetizzazione.

E i link non naturali?

Sempre Search Engine Journal ci dà una definizione di unnatural link molto lampante: si tratta di link provenienti da risorse puramente a pagamento, che possono essere collocati, tracciati o monetizzati attraverso programmi di affiliazione, campagne CPC, influencer o script di monetizzazione. E attenzione: se seguiti, questi link potrebbero potenzialmente portare a una penalizzazione da parte di Penguin, poiché non sono considerati come organici, nella maggior parte dei casi.
Quali sono i collegamenti non naturali, in soldoni?

  • Link con parametri di monitoraggio come sorgente;
  • link all’interno di contenuti sponsorizzati su un sito (i motori di ricerca generalmente ignorano chi ha pagato per il contenuto da inserire);
  • link provenienti dai siti che utilizzano gli script di monetizzazione;
  • link all’interno di codici come reindirizzamenti in uscita e in altre tecniche mappabili.

Le strategie di controllo aiutano i link a… essere più buoni

Non c’è nulla di giusto o sbagliato: puoi scegliere, in base alle strategie e agli obiettivi di brand, quali link scegliere. L’importante è non dimenticare mai di fare un controllo sull’andamento dei backlink che hai deciso di includere nella tua strategia, sia essa organica o dipendente da un media planning: esistono molti tool per farlo – chiamati “backlink audit tool” –  di facile impostazione che ti permetteranno di raccogliere i link afferenti per poi fare un check, monitorandone la loro resa per decidere se mantenerli o sostituirli. Ricorda che, infatti, puoi sempre richiedere al proprietario di un sito di rimuovere “quel link” in caso tu reputassi il traffico o la qualità del suo sito scarsa, o non pertinente con la tua attività.

Nel 2019, quindi, il contenuto è ancora re, e ce lo dimostra chiaramente il sovrano dei motori di ricerca: il nostro consiglio è quello di concentrarsi sempre sulla qualità piuttosto che sulla quantità. Perché questa semplice regola, il cui sicuro successo può necessitare di più tempo, protegge il tuo sito da penalizzazioni. E, ancora più importante, concentrarsi sulla qualità può aiutare a portare costantemente lettori in target, persino rilevanti e autorevoli, futura fonte di nuovi backlink e traffico, attraverso i siti di riferimento.

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“Titol-arte”: l’arte di scrivere un titolo (spiegata da un copy)

10 Giugno 2019

Ceci n’est pas un blog post. O meglio: questo non è un semplice blog post, ma una piccola guida attraverso il mondo dei titoli, croce e delizia di ogni copy che si rispetti (sì, anche di chi sta scrivendo questo articolo). Perché, diciamocelo: può un titolo fare il contenuto? Assolutamente sì!

I titoli sono magici, e hanno tante utilità: a livello di copywriting per il web possono garantire un ottimo click-through, oltre a una fantastica connessione tra la necessità di un utente e la risposta che noi gli forniamo attraverso un contenuto e che, se ben riuscita, viene premiata da mr. G con un salto in alto nella sua serp.
Il titolo, infatti, non è un elemento secondario nei nostri testi, che siano per il web, ma anche per la carta o l’advertising ATL: questa piccola stringa di testo rappresenta un’arma di creatività affilatissima, in grado di incuriosire, far ricordare, far amare, dare risposte.

Spingi, persuadi, informa con sincerità

Leve di persuasione, àncore, riferimenti. Oltre a una grammatica e a una punteggiatura perfetta c’è molto, molto di più: un titolo ti accompagna all’interno di un tema, soddisfa richieste ancora prima di addentrarsi nel contenuto che viene dopo o, per lo meno, accresce le aspettative in chi legge. Aspettative che non vanno certamente deluse! In questo post non ti daremo, infatti, “i 5 migliori consigli per scrivere un titolo efficace”, ma ti regaliamo un’idea concreta: “titol-arte”, ovvero, “l’arte di scrivere un titolo, spiegata da un copy”.

Ricorda sempre che con un titolo puoi:

  • Esprimere un beneficio unico, purché sia vero. Prendi, per esempio, gli sconti: rappresentano un beneficio reale, un momento adorato dai consumatori, nonché un’occasione unica per far fruttare la tua creatività.
  • Dare una rassicurazione o una soluzione reale al problema del lettore: il titolo ha un potere reale dato da una semplice combinazione di parole!
  • Stimolare, ispirare, provocare, accendere la fantasia per farsi ricordare: il titolo è sempre un’ottima strategia per ogni brand che si rispetti. Un punto, questo, che può collimare con la definizione di “payoff”.

Titoli SEO che piacciono alla Serp

Parliamo chiaro, parliamo preciso. Parliamo, insomma, SEO. Qual è la formula perfetta per un titolo da dare in pasto all’insaziabile appetito dei motori di ricerca? I titoli che piacciono alla SEO si dicono “friendly” e hanno, all’incirca questa struttura:  coincisi, descrittivi, senza ripetere la keyword per cui vorresti posizionarti. Opta per una descrizione accurata, precisa, sintetica.
Ancora le keyword: quando scegli le parole chiave per il tuo titolo ricordati della buona e vecchia “coda-lunga” ovvero non concentrarti sempre e solo sulle parole più competitive, ma esplora l’ambito di pertinenza alla ricerca di quei termini alla ricerca di sinonimi validi e naturali.

Figure retoriche? Sì, grazie (ma con parsimonia)

Iperboli, metafore, anacoluti. No, non parliamo dello studio dell’epica, ma di una tecnica retorica piuttosto antica, fondamentale per dare un tocco di leggerezza ai titoli, attraverso alcune figure che vengono usate in abbondanza, dagli albori del giornalismo.
Perché usare le figure retoriche nello scrivere titoli? Perché il loro impiego devia il regolare andamento del discorso, dando maggiore espressività e aiutando la concentrazione su quelli che sono i “touch point” in maniera più immediata e leggera.
Ma attenzione a non utilizzare i cosiddetti “plastismi”, ovvero gli arcinoti “leader del settore giovani e dinamici“: nella titolazione è decisamente sconsigliato usare quelle espressioni che sono ormai antesignane di una comunicazione datata e che non aggiunge molto. Esprimi al meglio ciò che devi comunicare, con fantasia. Sii coraggioso, non essere uno dei tanti: dopotutto, si parla di te, del tuo lavoro, dei tuoi clienti.

Insomma, provare-provare-provare, e ancora provare: perché il miglior titolo si conquista solamente attraverso l’esperienza e la crescita di consapevolezza degli strumenti tecnici a nostra disposizione, come onestà, fantasia, vocabolario e un pizzico di coraggio. E se quell’idea geniale, semplice e diretta al punto proprio non ti viene… beh, puoi sempre rivolgerti ai nostri copy!

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Gli eventi digital da non perdere nel 2019

5 Dicembre 2018

Agenda: un termine che deriva dal latino e indica le “cose da fare”. E, nell’ultimo mese del 2018, tutti ci prepariamo ad affrontare l’anno che verrà segnando buoni propositi e impegni nel nuovo taccuino – virtuale o cartaceo – che ci accompagnerà durante il 2019.
Non solo impegni e obiettivi: hai lasciato un po’ di spazio per la formazione? Se ti occupi di digital, sei un appassionato di tech o la tua professione si delinea tra task di social media e marketing, eccoti alcuni eventi imperdibili, ai quali non potrai mancare!

Pronto a prendere nota?

WMF – Web marketing  Festival

Si terrà nell’estate, il 20-21-22 giugno 2019, il festival omnicomprensivo del marketing internazionale, che durante gli scorsi anni ha registrato quasi 18.000 presenze. E, anche la prossima edizione, in quel di Rimini, rappresenterà l’occasione perfetta per parlare di digital e social. Il programma completo lo trovi a questo link: https://www.webmarketingfestival.it/

Mashable Social Media Day

L’edizione di quest’anno comprende anche i Digital Innovation Days of Italy, per un’edizione 2019 davvero completa per fare un punto significativo sul mondo digitale e social media, con tre giorni di formazione e interventi, oltre a case history di brand internazionali, tra cui Ogilvy e Armando Testa. La location? Milano. Quando? 17-18-19 ottobre 2019.
https://digitalinnovationdays.com/

Ecommerce HUB

Ti occupi di ecommerce e inbound marketing? Hai bisogno di formazione per quando riguarda i temi e i nuovi orizzonti dello shop online? L’evento Ecommerce HUB ti farà scoprire gli ultimi trend in tema, attraverso workshop e case history verticali, che analizzeranno tecnologie, comportamenti e tecniche per convertire. Ecommerce HUB si terrà a Salerno, il prossimo ottobre 2019.
www.ecommercehub.it

Search marketing connect

E ora, addentriamoci nel mondo SEO con tutti i suoi annessi e connessi: nel venturo mese di dicembre 2019, a Rimini si terrà il Search Marketing Connect: due giorni di formazione, altamente approfonditi, per veri addetti ai lavori, dove si parlerà di SEO, PCC e di tecniche Web Analytics per comprendere appieno dati e per articolare nuove strategie. Attenzione: parliamo di 2019, ma, in realtà, sei ancora in tempo a partecipare anche all’edizione 2018, che si terrà il 14 e 15 dicembre, sempre a Rimini. Per maggiori informazioni:
www.searchmarketingconnect.it

Advanced seo tools

Aprile, dolce dormire. In realtà, con questo evento dedicato alla SEO e ai migliori tool per lavorare con i sistemi di search engine optimiziation, tra interventi di speaker professionisti e già concretamente operativi nel mondo SEO, potrai avere una bella ricarica per comprendere a pieno i ferri del mestiere.
www.advancedseotool.it

Playcopy

Largo alla creatività: c’è spazio anche per i copy! Proprio a Modena, sempre nel mese di aprile 2019, si terrà PlayCopy, una giornata di workshop e interventi flash. Dai 30 ai 50 minuti, oltre a esercitazioni pratiche per approfondire le tecniche di scrittura persuasiva, creativa, per il web, il social e l’ADV. Non solo live, ma anche via web.
www.playcopy.com

E ora, segnate nella vostra agenda l’evento – o gli eventi – che più saranno utili alla vostra crescita professionale e creativa. Perché è dal confronto e dal networking che partono le idee e le spinte più energiche per affrontare, quotidianamente, il lavoro della comunicazione con competenza e fantasia.

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Google Analytics e il GDPR: quali novità?

22 Ottobre 2018

Google Analytics è un tool alleato delle strategie: un tema di cui non abbiamo mai parlato ma che, proprio per le sue funzionalità a livello di monitoraggio delle visite ai siti web, diventa un compagno a cui non si può (e non si deve) rinunciare. Che vi occupiate di programmazione, di SEO, di copy, o che siate i diretti possessori di un sito web, la visita quotidiana a questo tool Google è necessaria: proprio perché Analytics è da sempre caratterizzato da una costanza nel mantenimento dei suoi parametri e del suo schema, da cui reperire visite uniche, referral, tempi di permanenza e molto altro, fino alla customizzazione dei dati per report ultra-personalizzati. O meglio, così è stato fino ad aprile 2018 quando anche questo sistema ha iniziato a modificare alcuni aspetti, in vista delle famigerate leggi sul GDPR europeo, entrate in vigore lo scorso 25 maggio.

Cosa cambia? Vediamolo insieme!

Il cancellamento mensile dei dati per il GDPR

Non tutti lo sanno: da aprile 2018 è stata resa la cancellazione dei dati e dello storico più vecchi di un mese. Una funzione davvero comoda per venire incontro alle ottempranze del GDPR. Quali dati si potranno cancellare? Tutti quelli legati a un cookie o a un evento. Non saranno, invece, cancellabili, i dati cosiddetti “aggregati”, come possono essere, per esempio, il numero di sessioni, che non potrà essere segmentato o azzerato: infatti, le sorgenti di traffico, se viste per numero di sessioni, dovrebbero essere dati non modificabili, appartenendo a uno storico importante. Come si possono cancellare i dati? Basterà andare su impostazioni > modifica > informazione sul tracking > data retention. Qui, si aprirà una finestra da cui potrete selezionare, da un menù a tendina, una serie di archi temporali mensili. Il default del sistema è impostato su 26 mesi, ma lo potrete cambiare scegliendo tra una delle opzioni. Google, poi, dà un po’ di tempo per modificare la propria scelta, che può essere riformulata o annullata entro 24 ore: dopodiché GA prenderà atto ufficialmente della nuova scelta, memorizzandola.

Piccola nota per i meno esperti. Non stiamo parlando della funzione di default per la quale, se un utente esterno non torna sul sito per 24 mesi, Analytics lo considera nuovo utente – in caso decida di visitare nuovamente la property -: stiamo parlando di una funzione selettiva che ogni utente può scegliere di modificare!

Cos’ha fatto Google per il GDPR?

Google ha intrapreso la strada della semplicità: infatti, la sua Privacy Policy ora viene spiegata anche attraverso un breve video, molto chiaro ed esemplificativo.

Finora, però, abbiamo parlato di cancellazione dei dati: ma che succede se vogliamo esportarli? Google ha infatti aggiornato molte delle opzioni che riguardano l’esportazione dei dati: la compagnia di Mountain View sta infatti creando un sistema open source di data transfer, per scaricare e spostare i dati senza problemi. Questo progetto si chiama Data Transfer Project: un sistema open source, come è nello stile di Google, che rende facile per le persone trasferire i propri dati tra fornitori di servizi online in maniera semplice, grazie a una struttura comune, con modelli e protocolli di dati. Vuoi saperne di più? Visita questo link!

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