Dagli errori si impara sempre qualcosa.
La situazione ideale è quando a sbagliare sono gli altri: avulsi dal bruciore del fallimento, possiamo analizzare la situazione dall’esterno, con razionalità, e capire quali insegnamenti trarne.
Con questo spirito, diamo un’occhiata ad alcuni dei più grandi fallimenti dei brand, raccolti in un curioso museo a Helsingborg, in Svezia. L’intento dell’esposizione è quello di portare i visitatori alla consapevolezza che anche i colossi contemporanei non sono perfetti. Nella mostra vengono presentati più di cento errori che hanno fatto la storia: ognuno di essi ispira il visitatore a vedere l’insuccesso come un passaggio fondamentale verso l’innovazione.
Succede anche ai migliori brand…
Gli errori dei brand possono essere molteplici: da una mancanza di coerenza identitaria a un fallimentare studio del mercato, fino a una funzionalità e un pricing poco strategici o a un naming inadeguato.
Naturalmente anche un design inappropriato miete le sue vittime, come quello di una maschera di bellezza, esposta al museo, che ricorda un film dell’orrore.
Dalle lasagne Colgate ai profumi Harley-Davidson
Per quanto riguarda il branding, un colossale tentativo di brand extension finito male è costituito dalle lasagne surgelate della Colgate, uscite sul mercato nel 1982.
I consumatori, di fronte al noto marchio, non sono riusciti a scindere l’universo alimentare da quello dell’igiene orale, immaginando lasagne al gusto di dentifricio: a fronte delle scarsissime vendite, il prodotto venne presto ritirato dal mercato.
Dall’altro lato, anche il senso di pulizia e freschezza garantito dai prodotti di Colgate risultò intaccato dall’associazione con le lasagne, tanto che la vendita dei loro dentifrici registrò un calo. Fu un fallimento su tutta la linea, nato da una scarsa consapevolezza in merito alle caratteristiche del proprio brand e ai valori ad esso associati.
Per un brand è quindi fondamentale conoscere e rispettare la propria identità, il proprio pubblico e l’immagine che questo percepisce del marchio.
Pensiamo ad Harley-Davidson che nel 1996, lanciando una fragranza da uomo, tradì quello spirito libero e “selvaggio”, tipico dei motociclisti, che fece la fortuna del suo brand.
New Coke, nuova consapevolezza
Non tutti i fallimenti vengono per nuocere, comunque: 36 anni fa, è stato un colossale “passo falso” della Coca Cola a permettere al brand di riconnettersi con i suoi consumatori.
Negli anni ‘80, una ricerca di mercato rivelò che molti consumatori preferivano il gusto della Pepsi, leggermente più dolce, a quello della Coca Cola. Venne così avviata la sperimentazione di una nuova versione della bevanda, organizzando dei focus group per testarla: la maggior parte dei partecipanti, a cui venne fatta assaggiare “a scatola chiusa”, la preferirono sia alla Pepsi, sia alla Coca Cola originale.
In occasione del centenario della multinazionale, la storica bevanda venne quindi sostituita da una sua versione più dolce, la New Coke, che debuttò nell’aprile 1985 in Canada e negli USA.
La sede della Coca Cola fu bombardata da migliaia di telefonate e lettere di protesta e, fra tentativi di boicottaggio e dichiarazioni di Fidel Castro, che definì la New Coke un segno della “decadenza capitalista americana”, una cosa divenne chiara a tutti: non si poteva cambiare radicalmente un prodotto che da cent’anni faceva parte della storia americana. A soli 79 giorni dal lancio della nuova bevanda, Coca Cola fu costretta a fare retromarcia, rimettendo in commercio la vecchia formula.
Nonostante i risultati dei focus group testimoniassero l’apprezzamento del nuovo gusto, il legame affettivo con la “vecchia” Coca Cola era molto più forte: poco conta il fatto che la New Coke fosse più dolce, gli americani volevano la stessa bevanda bevuta dai loro nonni e bisnonni. La querelle ebbe il merito di riavvicinare i consumatori alla Coca Cola in un periodo in cui rischiava di venir sorpassata dalla Pepsi: la sua breve assenza permise alle persone di rendersi conto di quanto la bevanda, nella sua versione originale, fosse importante nella loro vita. Coca Cola assunse degli psicologi per ascoltare le oltre 1500 telefonate giornaliere di clienti che rivolevano la vecchia Coke: l’analisi degli specialisti mise in luce come molte di queste fossero associabili, come tono ed espressioni utilizzate, ai discorsi di chi ha appena subìto un lutto in famiglia.
Perdendo la vecchia Coca Cola, i consumatori non persero solo una bevanda, ma una memoria personale e collettiva, un pezzo di storia americana.
Il brand, influenzato dalle tendenze del momento, si era messo a rincorrere il suo competitor, dimenticando il patrimonio storico e culturale che si portava dietro.
Come dichiarato da Donald Keough, che dirigeva la Coca Cola in quel periodo, la cosa migliore da fare era ammettere di aver commesso un errore. Nessuno è perfetto, l’importante è rimediare.
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