Il videomaking è parte fondamentale della nostra attività come agenzia creativa, in linea con la nostra passione per il cinema, a cui vogliamo dedicare sempre più spazio nel nostro blog.
Oggi parliamo del piano sequenza, tecnica cinematografica che consiste nel filmare una sequenza narrativa piuttosto lunga in una sola ripresa, senza stacchi di montaggio.
Questa tecnica favorisce una maggiore immersività da parte dello spettatore, che – senza gli artifici del montaggio – può percepire la scena come se stesse avvenendo davanti ai suoi occhi.
Il piano sequenza è recentemente salito alle cronache grazie al film 1917 di Sam Mendez, che quest’anno è stato candidato a 10 premi Oscar, tra cui Miglior regia e Miglior film.
Il regista ha utilizzato questa tecnica allo scopo di catapultare lo spettatore al centro dell’azione, costituita dagli scontri della Prima Guerra Mondiale.
Piano sequenza: vero o falso?
Il punto forte del piano sequenza sta proprio nel fatto di dare allo spettatore un maggior senso di realismo.
La difficoltà maggiore, sia per i registi che per gli interpreti, sta nel fatto di dover girare una sequenza (o un intero film) senza poter mai staccare la cinepresa.
Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, si tratta di “finti” piani sequenza, con stacchi abilmente mascherati dai registi.
Non vorremmo deludervi, ma questo è anche il caso di 1917, realizzato con un sapiente lavoro di post-produzione.
Il primo regista ad utilizzare quest’escamotage era stato Alfred Hitchcock con Nodo Alla Gola (1948), che presentava una storia raccontata in dieci scene realizzate in piano sequenza, della durata di 10 minuti ciascuna.
Perché dieci minuti, vi chiederete?
Perché era questa la lunghezza massima di pellicola che un rullo poteva contenere.
Questo limite tecnico porta quindi alla nascita del primo “finto” piano sequenza: Hitchcock aveva infatti collegato abilmente fra loro le varie scene con stacchi di montaggio, abilmente mascherati sfruttando le superfici scure che passavano davanti alla cinepresa, dalle schiene dei personaggi a pareti e armadi.
Piano sequenza d’introduzione
Uno dei più celebri piani sequenza della storia del cinema è costituito dalla scena iniziale de L’infernale Quinlan (1958) di Orson Welles.
Da quel momento, il cinema ha fatto ampio utilizzo del piano sequenza in apertura, come in Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola e in Boogie Nights (1997) di Paul Thomas Anderson.
Il piano sequenza, con la convergenza di tempo reale e tempo cinematografico, può essere un modo efficace per introdurre i personaggi nella loro quotidianità, evidenziandone gli aspetti più lenti e monotoni attraverso i tempi morti che normalmente vengono tagliati dal montaggio.
Un ruolo ancora più fondamentale lo assume l’introduzione dell’ambiente in cui avrà luogo la vicenda: il piano sequenza invita lo spettatore a visitarlo, spesso in compagnia dei personaggi.
Gli esempi sono numerosi, anche in scene non di apertura: ricordiamo ad esempio il celeberrimo ingresso nel locale in Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese, che riprende l’escamotage della cinecamera che segue i personaggi, presente in L’infernale Quinlan e in gran parte dei piani sequenza più celebri.
Un caso più recente è quello di Alfonso Cuarón in Gravity (2013), che, introduce lo spazio cosmico con un piano sequenza d’apertura di 17 minuti che gli è valso il Premio Oscar come Miglior Regista.
Spettatore coinvolto nell’azione
Se nei precedenti casi la funzione dello spettatore era semplicemente quella di visitatore, altri film possono accentuare la sua immedesimazione nella storia proprio grazie al piano sequenza.
Arca Russa (2002) di Aleksandr Sokurov, primo film realizzato in piano sequenza senza trucchi di montaggio, gioca proprio su questo: lo sguardo del protagonista è quello dello spettatore che, all’interno del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo, non è più solo visitatore, ma diventa un personaggio vero e proprio, in un incredibile viaggio nel tempo, a metà fra sogno e realtà.
Piano sequenza e improvvisazione
La natura del piano sequenza, che impedisce agli attori di sbagliare, da un lato può essere fonte di infiniti “retake”, dall’altro può favorire l’improvvisazione e la genuinità dell’interpretazione dando un tocco “rough” alla pellicola, che comincia ad assomigliare più a un documentario che a un film.
Vediamo un esempio di questo in un altro dei pochissimi film che utilizza il piano sequenza per tutta la sua durata, senza trucchi e senza inganni: Victoria (2015) di Sebastian Schipper, girato e ambientato dalle 4:30 alle 7 del mattino.
Gran parte del film era improvvisato e il regista ha raccontato che la stanchezza e l’esasperazione degli attori ha dato un tocco in più alla loro interpretazione.
Piano sequenza nell’advertising
Come nel cinema, anche nell’advertising le funzionalità del piano sequenza possono risultare interessanti, anche in un’ottica sovversiva.
La marca di whiskey Johnnie Walker, ad esempio, gioca a sovvertire l’unità spazio temporale riprendendo la classica camminata in piano sequenza, ma con un personaggio che entra ed esce da ambientazioni differenti.
Anche Volvo Trucks sovverte uno dei capisaldi del piano sequenza, il senso di realismo, con uno spot che mette in scena un’improbabile quanto esilarante schiacciata di Jean-Claude Van Damme a metà fra due camion.
Aibnb ci porta invece in una rocambolesca corsa che, lo ammettiamo, ci ha fatto venire i brividi ripensando a Shining…
Ma negli ultimi anni gli spot in piano sequenza che hanno riscosso più successo sono quelli che presentano un’azione organizzata di gruppo che prende vita attorno allo spettatore, un po’ come un flashmob.
La logica è simile a quella dei musical: possiamo fare l’esempio di La La Land (2016) di Damien Chazelle, che si apre con un numero musicale in piano sequenza in cui i guidatori, fermi nel traffico, escono dalle automobili e si mettono a ballare attorno alla cinepresa, quindi attorno allo spettatore.
Questa sensazione viene ripresa in spot come quello del Sunday Times, in cui più persone, in piano sequenza, si uniscono ricreando momenti iconici del cinema, della musica, dell’arte.
La meraviglia dello spettatore sta proprio nella percezione che quello che vede sia stato ricreato in un solo “shot”, quindi è come se prendesse vita davanti ai suoi occhi, seppur in differita.
Un altro esempio è la complessa coreografia messa in scena da Xperia.
Queste elaborate composizioni ci ricordano quanto l’efficacia di un piano sequenza dipenda dalla ricchezza della coreografia, nonché dalla profonda connessione fra gli attori e l’ambiente che li circonda.
ll piano sequenza, non potendo contare sul ritmo delle inquadrature e su altri effetti tipici del montaggio, è una tecnica complessa.
In molti casi, tuttavia, può costituire una scelta audace e vincente: non a caso, tutte le scene che abbiamo citato hanno fatto la storia del cinema…
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