Dopo l’articolo che abbiamo dedicato a Ingmar Begrman, continuiamo a parlare di come cinema e pubblicità possano incontrarsi grazie al contributo dei più celebri registi.
In questo post vogliamo fare luce sull’esperienza pubblicitaria di Ridley Scott per poi analizzare il celeberrimo spot da lui diretto per Apple traendo ispirazione da 1984 di George Orwell.
Ridley Scott, l’esperienza in pubblicità
Quando Ridley Scott raggiunse il grande successo con Alien (1979), alle sue spalle aveva 20 anni di esperienza in pubblicità e la regia di circa 2.000 spot. Erano tempi competitivi, in cui si girava molto: circa 100 spot all’anno, due alla settimana. “Arrivavo dall’era dell’advertising stile Mad Men, stavamo forgiando il concetto moderno di pubblicità”, dichiara Scott.
Il regista l’aveva presa come una sfida: “Mi ha sempre meravigliato quanto riuscissi a infilare in uno spot di 30 secondi”.
Grazie all’adv, Ridley Scott dichiara di aver imparato a “prendere in considerazione la domanda più basica: sto comunicando o sto mancando il bersaglio? Se non stai comunicando, non puoi fare un film di successo”.
Scott afferma che la capacità di “vendere” una storia al pubblico deriva direttamente dalla sua esperienza in ambito pubblicitario, che considera al pari di una “scuola di cinema” che gli ha insegnato a ottimizzare i budget e a rispettare le scadenze. In poche parole, girare spot gli ha permesso di passare dalla teoria alla pratica, acquisendo un metodo di lavoro che avrebbe conservato per il resto della sua carriera.
Come accaduto ad altri registi britannici che arrivavano dall’advertising, Scott è stato spesso criticato per il fatto di dare troppa importanza all’estetica: “Dicevano che il mio girato era troppo basato sull’immagine, un’eredità della mia esperienza nel marketing. Cosa c’è di male? Non sto facendo un’opera radiofonica, ma qualcosa da vedere”.
Ad esempio, le atmosfere oniriche dello spot “Share the fantasy”, girato da Scott per Chanel No 5 nel 1979, anticipano l’estetica di alcuni dei suoi successivi film.
Nel 1985, qualche anno dopo il grande successo di Blade Runner (1982), Scott gira per Pepsi uno spot che immerge lo spettatore in un mondo notturno, fatto di colori al neon.
La capacità del regista di creare atmosfere suggestive, con una grande attenzione all’estetica e uno spiccato gusto per il surreale, costituirà un contributo fondamentale nello spot che stiamo per analizzare.
Lo spot di Apple
22 gennaio 1984
“Alcune persone dicono di dare ai clienti quello che vogliono, ma questo non è il mio approccio. Il nostro lavoro è capire cosa vogliono prima che lo vogliano”, dichiarava Steve Jobs a Playboy nel 1985.
Questo mantra è perfettamente incarnato dal celebre spot 1984, realizzato per Apple da Ridley Scott in collaborazione con l’agenzia Chiat/Day di New York.
Lo spot debutta il 22 gennaio 1984 durante una pausa pubblicitaria del Superbowl, segnando un momento storico non solo per la Apple, ma per la stessa manifestazione sportiva, che proprio da quel momento comincerà ad essere considerata dagli inserzionisti come l’evento cardine dell’intero palinsesto televisivo statunitense.
La forza evocativa dello spot in questione deriva anche dal fatto che sia stato trasmesso solo una volta a livello nazionale, proprio in quell’occasione.
1984
Lo spot pescava dall’immaginario fantascientifico dei primi anni ‘80, ben rappresentato da Blade Runner, e dall’atmosfera distopica di 1984.
L’ambientazione è scura, forse sotterranea: vediamo una fila di persone che marciano in modo robotico, ipnotizzate dalla propaganda del Grande Fratello, mentre una giovane donna inseguita da guardie con l’elmetto corre attraverso un tunnel brandendo un martello. L’eroina, interpretata dall’atleta inglese Anya Major, indossa una maglietta con il logo di Apple e una sagoma che rappresenta il Macintosh. Prima che possano fermarla, lancia il martello sullo schermo gigante interrompendo la propaganda del dittatore. L’esplosione risveglia le masse dalla loro ipnosi mentre il narratore recita: “Il 24 gennaio Apple Computer introdurrà Macintosh. E vedrai perché il 1984 non sarà come 1984”.
La sfida di Apple
Con questo spot Apple dà inizio a una rivoluzione. Innanzitutto per l’audace sfida lanciata a IBM, rappresentata come un’autorità a capo di un monopolio che fa il lavaggio del cervello alle masse. In questo contesto, Apple si presenta come l’eroina, l’outsider che alla fine trionfa, stupendo tutti. Forse non è un caso che a rappresentare il marchio sia una donna, alla luce delle lotte femministe del decennio precedente, che si erano riflesse anche nel cinema di Scott (Alien, 1979).
A rendere ancora più potente il messaggio è il fatto che non ci sia un prodotto fisico su cui concentrare la propria attenzione. Come fa notare Ridley Scott, lo spot non dice cosa sia o cosa faccia il Mac, né tantomeno lo mostra. Sotto questo punto di vista, 1984 ha aperto la strada all’adv contemporaneo, in cui i valori del brand arrivano prima del prodotto o del servizio da vendere. Grazie a questo spot, la Apple si è affermata come un’alternativa creativa e dirompente rispetto al monopolio di IBM. Secondo Walter Isaacson, “lo spot ha iniettato il DNA di Steve Jobs nello spirito di Apple”, influenzando per sempre l’immagine del brand, tutt’oggi indissolubilmente legato al concetto di libertà, ribellione, anticonformismo.
Ironicamente, nel 2020, il franchise videoludico di Fortnite riprenderà il concept del celebre spot del 1984 per scagliarsi contro il ban ricevuto dall’Apple store, insinuando che Apple sia passata dalla parte dei cattivi: possiamo parlare di un nuovo “1984”?
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