La pandemia di COVID-19 lascerà un marchio indelebile nella vita di ognuno di noi, ma a rimanere particolarmente colpita sarà la Generazione Z, quella di chi è nato indicativamente dal 1995 al 2010.
Si tratta insomma di giovanissimi, dai 25 anni in giù, che stanno vivendo questo periodo di emergenza nel bel mezzo degli anni che si riveleranno fondamentali per la loro formazione individuale.
Comprensibilmente, diverse ricerche dimostrano come questa fascia di consumatori stia reagendo con particolare ansia, preoccupazione e stress all’emergenza COVID-19.
In questa fase importante e delicata, per il mondo e per la Generazione Z, il modo in cui i brand comunicano con questo target risulterà determinante sul lungo periodo.
Ma che tipo di consumatori sono, i membri della Generazione Z?
Come possono i brand comunicare con loro, durante e dopo il COVID-19?
Scopriamolo insieme.
Raggiungere la Generazione Z
Se un tempo erano i brand a influenzare le scelte dei consumatori, oggi sono i consumatori ad influenzare le scelte dei brand.
Questo vale in particolare per la Generazione Z che, più delle precedenti, intrattiene relazioni instabili con i brand.
Per un brand, raggiungere e conquistare questa fascia demografica è difficile quanto fondamentale. Non si tratta più solo del target del futuro, ma di quello del presente: ad oggi, i componenti della Generazione Z costituiscono già il 40% dei consumatori globali.
L’emergenza COVID-19 ci permette di evidenziare i punti-chiave su cui basare la nostra comunicazione per la Generazione Z.
Valori e autenticità
Da un brand, i ragazzi della Generazione Z pretendono soprattutto autenticità.
Innanzitutto, mai perdersi in mille parole, in discorsi vuoti e artificiosi. Meglio un messaggio diretto, semplice, breve ed efficace come un video di Tik Tok.
Ma soprattutto, per colpire la Generazione Z, un brand deve comunicare un valore e, cosa (purtroppo) non scontata, dimostrare di rispettarlo in prima persona.
La Generazione Z è molto attenta a temi ambientali e sociali, razziali e di genere; se un brand decide di puntare su questi argomenti, deve dimostrare in modo concreto il suo supporto alla causa, in modo da risultare credibile.
Nel caso del COVID-19, la Generazione Z apprezza quei brand che dimostrano di tenere realmente alla causa, e sta particolarmente attenta al trattamento che le aziende riservano a consumatori e dipendenti.
In questo senso, un’inchiesta di Vogue Business rivela come i membri della Generazione Z siano più restii ad acquistare da compagnie come Whole Foods e Amazon a causa delle scarse misure di protezione che avrebbero messo in atto per difendere i propri dipendenti durante l’emergenza COVID-19. A spiccare in negativo, in questo contesto, è proprio la divergenza fra la comunicazione pubblica di Amazon, volta all’empatia, e l’effettivo trattamento che ha riservato ai suoi lavoratori.
Di contro, è stato particolarmente apprezzato il marketplace Depop, che negli Stati Uniti ha incoraggiato i propri clienti, per gran parte appartenenti alla Generazione Z, a restare a casa ancora prima che venissero emanate le direttive del Governo.
Naturalmente è da evitare, a prescindere, qualunque tipo di comunicazione che possa suggerire che il brand stia cercando di approfittarsi della situazione di emergenza.
Celebre e contestatissimo, in Italia, un post di Radio Maria (in seguito eliminato), che – in piena emergenza Coronavirus – chiedeva indirettamente donazioni ai consumatori, spiegando come effettuarle tramite bonifico SEPA, per tutti coloro che non potevano recarsi alle Poste.
Comunità e interazione
Per la Generazione Z, il concetto di “comunità”, intesa come luogo di aggregazione e condivisione, è fondamentale.
I suoi membri vogliono un contatto diretto con i brand, vogliono sentirli “vicini” a loro, fino a partecipare in prima persona alle loro campagne.
Questo permette ai brand di sfruttare l’innata capacità creativa della Generazione Z: i giovanissimi sono abituati a realizzare contenuti web fin dalla tenera età e in questo periodo, avendo più tempo libero da passare in casa, sono ancora più incentivati a far emergere la loro individualità in modo creativo.
Tali contenuti si rivelano inoltre, prevedibilmente, più che mai efficaci nell’aiutare il brand a catturare l’attenzione di altri giovanissimi.
Fondamentale, infine, il concetto di “challenge” (o “trend”, per utilizzare un termine più vicino a TikTok), anche con l’ausilio di micro e macro-influencer.
Durante l’emergenza COVID-19, un esempio importante a livello internazionale è stato la Living Room Cup di Nike, che ha coinvolto Cristiano Ronaldo e altri celebri sportivi.
Un caso più recente, tutto italiano, è quello di Fonzies con la #NoFingersChallenge: la sfida è quella di mangiare le Fonzies senza usare le mani; il messaggio è “Godi responsabilmente”, in risposta al celeberrimo claim “Se non ti lecchi le dita, godi solo a metà”.
Un’altra challenge italiana, ideata da Ceres, partirà nelle prossime settimane e coinvolgerà diversi influencer nel tentativo di bere birra alla “distanza di sicurezza” di almeno un metro.