In piena crisi, gli italiani si rivolgono ai social network per notizie, informazioni e rassicurazioni.
Oltre all’epidemia da Coronavirus, si rischia quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha definito ”infodemia”, la diffusione di notizie false e informazioni errate e contraddittorie che da un lato portano a sottovalutare il problema e dall’altro a ingigantirlo.
Il monito è elementare quanto necessario, come chiedere agli italiani di lavarsi le mani: prima di condividere una notizia, verificarne la fonte e l’attendibilità.
Il problema sta proprio nel fatto che, al tempo dei social, la comunicazione d’emergenza non è in mano solo alle istituzioni, al personale medico e ai media, ma agli utenti stessi. Considerato che la gente è più propensa ad ascoltare persone comuni piuttosto che medici e istituzioni, questo può essere una grande risorsa o un grande pericolo.
In Cina, il contributo degli utenti sui social si è rivelato fondamentale per sfuggire alla “censura” del governo, informando il resto del mondo dell’epidemia in corso.
In Italia assistiamo da un lato a meme che “ridicolizzano” comportamenti sbagliati, dall’altro al proliferare di assurde cospirazioni e alla glorificazione di esempi negativi, come quelli costituiti da influencer come Victoria Tei e Soleil Sorge, che affermano pubblicamente di contravvenire alle indicazioni del Governo, contribuendo a diffondere ignoranza sull’argomento.
A dare il buon esempio, invece, gli influencer e i personaggi del mondo dello spettacolo che hanno utilizzato l’hashtag #IoRestoACasa per sensibilizzare gli italiani in merito alla necessità di uscire il meno possibile per evitare il contagio.
L’hashtag è stato prontamente ripreso dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile.
In questo contesto, le istituzioni italiane stanno dimostrando di essere all’altezza della situazione, con una comunicazione chiara e accessibile a tutti, in grado di puntare sull’enorme potenziale di “condivisibilità” dei contenuti sui social network.
Per giungere a questo traguardo, però, ci sono voluti un po’ di anni e, come spesso accade, gli utenti hanno anticipato le istituzioni.
La necessità di una comunicazione d’emergenza che passasse prima di tutto sui social network ha cominciato a delinearsi nel 2012, con il terremoto nel Centro Italia. L’evento è stato uno dei primi disastri naturali in cui le informazioni utili alla gestione dell’emergenza sono circolate grazie ai social, in particolare Twitter. Pochissime le istituzioni attive in quel contesto, scarsa la presenza dei profili di Protezione Civile Nazionale e Locale. L’impegno degli utenti si era quindi rivelato fondamentale.
Otto anni più tardi, in piena emergenza Coronavirus, le istituzioni sono riuscite a comprendere quanto l’intraprendenza divulgativa degli utenti debba essere canalizzata e organizzata, cercando di sfruttare al meglio il potenziale della comunicazione social.
In prima linea c’è naturalmente il Ministero della Salute, che dedica una sezione del suo sito a coloratissime infografiche pronte per essere condivise sui social. Inoltre, sono stati presi accordi con Facebook e Twitter per far sì che gli utenti che cercano informazioni sul Coronavirus possano essere immediatamente ricondotti alle fonti istituzionali.
Firmati anche accordi con Google e YouTube per far sì che le informazioni del Ministero della Salute (oltre che dell’OMS e della World Health Organization) compaiano fra i primi risultati di ricerca.
I social hanno preso anche importanti decisioni di loro iniziativa: Facebook sta cercando di limitare il proliferare di notizie false e fuorvianti sul Coronavirus e impedisce la sponsorizzazione di annunci che sfruttano l’emergenza a scopo di lucro, offrendo invece spazi pubblicitari gratuiti all’Oms.
A sorpresa interviene anche TikTok, il social dei giovanissimi: agli utenti che creano, visualizzano e interagiscono con contenuti correlati al Coronavirus, l’app presenta un avviso che, per dubbi o informazioni, invita a rivolgersi alle istituzioni internazionali o locali.
Inoltre, TikTok cerca di rimuovere video fuorvianti o inappropriati sull’argomento, affermando di non poter permettere “una disinformazione che potrebbe causare danni alla nostra comunità”, considerata anche la giovane età dei suoi membri.
Insomma, le piattaforme social si dimostrano in questo contesto perfette alleate delle istituzioni, dando una lezione agli organi di stampa (che stanno virando troppo spesso verso il sensazionalismo), e anche al Governo e alle Regioni, che si sono fatti scappare qualche passo falso.
La soluzione migliore, per il bene dei cittadini, sarebbe che tutti questi soggetti facessero fronte comune, fornendo sempre informazioni coerenti ed equilibrate.