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Advertising: il Coronavirus colpisce i brand

31 Marzo 2020

A inizio quarantena, abbiamo sorriso con i tanti post che re-immaginavano l’advertising dei grandi brand ai tempi del Coronavirus, ma ci siamo subito resi conto che quella che veniva dipinta non era una prospettiva così surreale.


In un certo senso, lo scherzo ha anticipato la realtà: in una situazione come quella che stiamo vivendo, è fondamentale che i brand prendano la parola per sensibilizzare e rassicurare i propri consumatori, dimostrando di essere affidabili, attenti e “sul pezzo”.

Tuttavia, pare che la strada sia ancora lunga: una ricerca di GfK effettuata qualche settimana fa sostiene che i consumatori percepiscano i brand come poco attivi a fronte di questa emergenza; questo è sicuramente un fattore su cui bisogna lavorare.
C’è da dire, però, che gran parte delle aziende (comprese le più grandi multinazionali) hanno cominciato ad esprimersi sulla situazione in tempi recentissimi. In fondo non è un mistero che questa pandemia globale abbia colto di sfuggita tutti, anche i più grandi brand.

Pessimo tempismo

L’emergenza che stiamo vivendo ha portato molte aziende che non producono merce di prima necessità a tagliare i costi pubblicitari per rispondere a un pubblico che presta molta attenzione alle notizie (sia quelle affidabili che, purtroppo, quelle false) e poca agli annunci.

Per molte altre aziende, l’emergenza è capitata “fra capo e collo”, nel bel mezzo di campagne che spesso, alla luce della situazione attuale, si è costretti a cestinare.

È il caso di KFC, costretta a ritirare una campagna basata sul motto “Finger licking good”, con manifesti e spot che mostravano persone intente a leccarsi le dita: non certo il massimo, in questo periodo!

Allo stesso modo, la marca di cioccolato Hersey si è vista obbligata a ritirare uno spot in cui apparivano abbracci e strette di mano e Geico, società di assicurazioni auto, una pubblicità in cui ci si dava semplicemente un ‘High Five’ (‘batti cinque’).
Un caso italiano è invece il ritorno del Crodino di Campari, l’analcolico ‘biondo’ che, nell’ultimo spot, “fa abbracciare il mondo” nel bel mezzo di una pandemia globale.

A tal proposito, ecco la gaffe della birra Corona, già penalizzata per il suo nome, criticata per la frase “Coming ashore soon” che per molti poteva alludere alla diffusione del Virus su scala globale.

Tutte da cestinare, quindi, le campagne del settore travel, che invitavano a viaggiare per l’Italia e per il mondo ancora nei primi giorni di quarantena.
Se gran parte di queste sono sviste fatte in buona fede, non si può non riconoscere un certo intento provocatorio nelle campagne di WeRoad lanciate a inizio marzo. In quel momento il Coronavirus poteva sembrare un argomento su cui poter scherzare, ma di lì a poco la situazione sarebbe degenerata, costringendo l’azienda a ritirare le campagne.

Giocare col logo

Anche in questo caso, un progetto creativo nato per gioco ha anticipato i brand veri e propri: si tratta di una galleria di loghi di importanti brand, modificati da un artista sloveno per rispettare la “distanza sociale” imposta dalla pandemia.
La galleria è stata pubblicata su Behance il 14 marzo e include anche il logo delle Olimpiadi, che sarebbero state rinviate solo dieci giorni dopo.

Dieci giorni più tardi debutta anche la trovata pubblicitaria di McDonald’s Brasil, che gioca a separare i celebri archi del suo logo. Il concetto base è lo stesso che in Italia sentiamo ripetere fino alla nausea da un mese a questa parte. Per citare Giuseppe Conte, “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”.

L’espediente del logo viene utilizzato anche da Coca Cola, Volkswagen e Audi.

A puntare sul monito “Restate a casa” ci hanno pensato invece Nike (“Play inside, play for the world”) e Burger King, che ha modificato la dicitura “Home Of The Whooper” con un eloquente “Stay Home”.

E, per finire come abbiamo iniziato, chiudiamo con un’altra idea nata per scherzo da due creativi thailandesi, che gioca a spaventare chi ancora non ha capito che deve rimanere a casa. Nello spot viene inscenata una finta campagna di Netflix in cui le strade delle città vengono tappezzate da manifesti che fanno spoiler sulle serie più seguite della piattaforma.
Il messaggio? Se questi manifesti ti rovinano la sorpresa, beh… è colpa tua che non sei rimasto a casa.
L’ideale per chi ha più paura degli spoiler che del Coronavirus.
Chissà, forse potrebbe funzionare.

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Quarantena social: content marketing al tempo del Coronavirus

19 Marzo 2020

Da poco più di una settimana, la maggior parte degli italiani è entrata in quarantena. Uno stato di isolamento forzato che ci ha obbligato a cambiare le nostre abitudini, cogliendoci impreparati.
Vediamo in cosa è cambiata la nostra vita quotidiana e come possono piccole e grandi aziende proporre contenuti e servizi di valore in questa situazione.
Non solo chi tratta di sanità può essere utile in questa emergenza, anzi!
Il concetto chiave è far sentire la nostra presenza anche a distanza.

Lavoro

La quarantena costituisce il primo incontro di molti italiani con la realtà dello smart working, il lavoro da casa. Questa nuova opportunità appare ostica e misteriosa per molti lavoratori e aziende, quindi può essere utile fornire consigli su come coglierla al meglio.
Ci ha pensato Nespresso, da sempre fida alleata della concentrazione di ogni lavoratore, sul posto di lavoro come a casa. E infatti il primo consiglio è proprio quello di non rinunciare alla routine del caffè mattutino e all’agognata pausa caffè.

A sensibilizzare sull’argomento ci pensa anche Il Milanese Imbruttito, pagina ironica che scherza sull’operosità meneghina, in collaborazione con il Ministero della Salute.

Tempo libero

È innegabile che, a seguito delle misure drastiche che sono state prese dal Governo, gli italiani si siano ritrovati fra le mani una mole di tempo libero su cui prima non potevano contare.
Il problema? Che questo tempo va ovviamente trascorso in casa, come in un eterno pomeriggio “uggioso” in cui non si può uscire e non si sa cosa fare. Non è un caso che, fra le prime canzoni eseguite in flashmob sui balconi, spicchi proprio Azzurro di Adriano Celentano: “Il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me…”.
E quindi, cosa fare?

Cosa vedere

Le prime a venire incontro ai consumatori sono state, prevedibilmente, le piattaforme di streaming. Amazon Prime, prima di tutti, propose un mese gratis agli abitanti della “Zona rossa” quando quest’ultima era ancora limitata a una porzione del Nord Italia, salvo poi fare spallucce quando lo stato di emergenza è stato esteso a tutta Italia.
Ci sono stati altri servizi di streaming che hanno prolungato il loro periodo di prova gratuito in occasione della quarantena, ad esempio Infinity e DPlay Plus, ma a destare l’attenzione di tutti è stato PornHub.
Mettendo insieme la necessità di “ammazzare” il tempo con l’astinenza sessuale dovuta all’isolamento forzato (a cui Durex risponde così), PornHub propone agli italiani un mese del suo servizio Premium gratuito e la notizia diventa virale.

In tutto questo, il colosso internazionale Netflix si limita a consigliare film da vedere, il minimo che possa fare in questa circostanza.

Cosa cucinare

Per passare il tempo, molti italiani si sono messi ai fornelli, riscoprendo la gioia di cucinare. È una situazione da sfruttare per ogni azienda che vende prodotti alimentari, complice anche il fatto che i supermercati siano fra le poche attività commerciali rimaste aperte. È quindi il momento giusto per proporre ricette inusuali e creative, come Rio Mare che insaporisce la classica pasta al tonno con pistacchi e scorze d’arancia.

Per coloro i cui prodotti non sono venduti al supermercato, semplice: puntate sulle consegne a domicilio, richiestissime in questo periodo.

Allenarsi e pulire la casa

Proprio a fronte di questo rinnovato interesse culinario e dello stile di vita sedentario a cui stiamo aderendo, gran parte dei meme che girano in questi giorni scherzano sul fatto che in quarantena si ingrassa.
Se la vostra attività commerciale ha a che fare (anche in modo collaterale) con il fitness e con la cura del corpo, è decisamente consigliato proporre ai vostri clienti esercizi da poter effettuare a casa, come stanno facendo Decathlon e, più in piccolo, tante palestre sul suolo nazionale.

Ma l’attenzione degli italiani, in questi giorni di reclusione forzata, è anche sul pulire e mettere in ordine la casa. Su questo punta molto la comunicazione social di IKEA, giustamente volta a valorizzare l’ambiente domestico con la campagna “Ripartiamo da casa”.

Swiffer Italia coniuga in modo geniale questi due aspetti, l’attività fisica e la pulizia di casa:

Bambini e creatività

Da un lato la quarantena riduce i contatti con l’esterno, dall’altro favorisce la vicinanza dei nuclei familiari, ritrovatisi a passare molto più tempo insieme, in casa. Le scuole sono chiuse ormai da diverse settimane e, come sappiamo, i bambini si annoiano facilmente e in fretta.
Per le aziende che si rivolgono al target delle famiglie può sicuramente essere utile proporre spunti per permettere a genitori e bambini di passare il tempo insieme in modo creativo.
Ci ha pensato la Mulino Bianco, icona suprema del concetto di famiglia perfetta, con la rubrica #InCasaConMulino, che propone lavoretti di bricolage per dare “sfogo alla creatività dei nostri bimbi con quello che abbiamo in casa”.

Viaggiare con la fantasia

La reclusione non è solo domestica, ma anche geografica: in questo periodo ci sentiamo reclusi all’interno della nostra nazione, della nostra regione e del nostro comune, da cui non possiamo spostarci se non per gravi e comprovati motivi. Perfino per camminare nei paraggi di casa nostra potremmo aver bisogno di un’autocertificazione.
E allora, se non possiamo viaggiare, facciamolo con la fantasia.

Se la comunicazione di Alitalia è principalmente volta all’emergenza e piattaforme gettonatissime come Booking e ViaGogo non proferiscono parola, a venirci incontro è ad esempio la celeberrima linea di guide turistiche Lonely Planet, che prima scherza pubblicando la copertina di una fantomatica guida alla scoperta di casa propria, poi propone un viaggio ai Caraibi “sotto le coperte”.

È la stessa logica che ha portato la Galleria degli Uffizi di Firenze e tutti i principali musei del mondo a proporre visite guidate virtuali.

E per rimanere sempre informati su ciò che accade nel mondo, oltre a poter contare sulle edicole (fra le poche attività commerciali rimaste aperte), ci sono Mondadori e Condé Nast che propongono abbonamenti gratuiti alle loro riviste online. Fra i quotidiani digitali gratuiti, invece, La Repubblica e La Stampa.

Lontani, ma uniti

Il periodo che stiamo vivendo ci costringe a stare separati, ognuno a casa propria. Eppure l’Italia è più unita che mai. Lo vediamo nei flashmob che, grazie alla cassa di risonanza dei social, hanno animato tutta la penisola.

Come sempre, in periodi di crisi, aumenta l’orgoglio e il senso di appartenenza alla nazione. Graditissimi, quindi, ringraziamenti ed elogi al personale medico e a chi fornisce un servizio ai cittadini in questo periodo di crisi (supermercati, farmacisti, edicolanti) e post che inneggiano alla capacità dell’Italia di rialzarsi (non è un caso che il motto “Andrà tutto bene” sia gettonatissimo) e ai sacrifici che gli italiani stanno mettendo in atto per scongiurare il contagio.
È quello che hanno fatto ambasciatori dell’”italianità” come Scavolini (“la più amata dagli italiani”) e Barilla.
Attenzione, però, a non cadere nel populismo più becero e/o nello stucchevole.

Il segreto sta nell’essere diretti e sinceri. Stiamo tutti vivendo un periodo difficile, aziende e consumatori. È importante, anche e soprattutto per le attività commerciali che sono state chiuse, continuare a comunicare con i propri clienti, essere presenti anche a distanza, accompagnare i propri consumatori in questa sfida. Per essere ancora più vicini in futuro.

Vuoi sapere come comunicare con i tuoi clienti in questo periodo di crisi?
Noi possiamo aiutarti, contattaci per saperne di più.

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Coronavirus: quella degli influencer è più di una “semplice influenza”

17 Marzo 2020

Siamo arrivati ad inizio 2020 pensando che la professione “Influencer” fosse arrivata al capolinea. Ci troviamo a marzo, in piena emergenza sanitaria, a constatare invece quanto chi possa godere di un così ampio bacino d’utenza abbia un ruolo chiave nella situazione che questo paese sta attraversando.
Insomma, parafrasando chi tende a sottovalutare l’emergenza legata al Coronavirus, potremmo dire che quella degli influencer è più di “una semplice influenza” e può portare a conseguenze estremamente positive o negative in una situazione così delicata.
Il modo in cui gli Influencer nostrani hanno reagito all’epidemia sono i più disparati: alcuni hanno completamente ignorato la situazione, altri l’hanno sottovalutata con successive scuse e lacrime di coccodrillo.
Non sono mancate le gaffe, ma c’è anche chi ha preso atto della propria popolarità e competenza e ha cercato di rendersi utile.

Veronica Civiero e @ViralVeneto

Partiamo da un caso positivo, quello di Veronica Civiero, Global Solutions Manager presso Facebook che ha sfruttato le sue competenze e la sua influenza per creare ViralVeneto in collaborazione con il Presidente della Regione del Veneto, la Regione Veneto e diversi influencer. L’obiettivo, parte di un progetto più ampio denominato “Viral Italy”, è quello di contrastare le “fake news” attraverso i canali social. Il team di ViralVeneto è in contatto costante con l’Ufficio Stampa della Regione, da cui le informazioni vengono poi “adattate” ai social network e pubblicate su Instagram e Tik Tok.

“È nato tutto per caso”, spiega Veronica Civiero. “Io mi occupo di comunicazione e in questi giorni di emergenza coronavirus mi sono resa conto che sui social i profili delle istituzioni sono poco seguiti, nonostante siano ricchi di informazioni utili. Allora ho preso l’iniziativa e ho parlato direttamente con il governatore Luca Zaia”. Quest’ultimo si è detto entusiasta, arrivando a dichiarare: “Affidiamo agli influencer il piano di rilancio del Paese”.

Chiara Ferragni, la raccolta fondi e l’avvertimento a Kendall Jenner

Che faccia bene o che faccia male, la nostra Chiara nazionale è sempre a rischio attacco, ma in questa occasione ha sfruttato la sua popolarità per una giusta causa. C’è chi la critica, chi afferma che l’abbia fatto solo per ulteriore notorietà.
Resta il fatto che la Ferragni ha dato via ad un progetto che è stato condiviso e supportato da migliaia di persone: una raccolta fondi per la creazione di nuovi posti letto nei reparti di terapia intensiva dell’ospedale San Raffaele di Milano.

Chiara e Fedez hanno donato 100.000€, e moltissimi utenti hanno già effettuato la loro donazione superando in poche ore il milione e cinquecentomila euro. Ad oggi, si è superato di gran lunga l’obiettivo dei 4.000.000 euro.
Sempre Chiara Ferragni, dopo aver invitato i suoi follower italiani a non minimizzare la situazione (“Usate il cervello”), ha lanciato un importante messaggio agli influencer d’oltreoceano, in particolare a Kendall Jenner, una delle tante che aveva bollato il Coronavirus come “una semplice influenza”. Il post di Chiara invita gli americani a non sottovalutare il problema, come abbiamo fatto noi italiani qualche settimana fa: “Pensavamo fosse una fottuta influenza per la maggior parte delle persone, ma abbiamo dovuto imparare nella maniera più dura che è molto più di questo” e conclude con un appello: “Per favore, siamo uniti in questa lotta e non diffondiamo il messaggio sbagliato”.

Le gaffe degli Influencer

Dopo le note di merito, vediamo chi sono i “bocciati” e i “rimandati”.

In principio ci fu il complottismo e il razzismo nei confronti dei cinesi, come nei casi di Aurora Betti, Giulia Calcaterra e Selvaggia Roma.

Poi, quando il Virus ha cominciato a diffondersi in Italia, ci si è divisi fra chi ha colto l’occasione per riesumare l’eterno scontro Nord-Sud (come Elisa De Panicis, che in riferimento al contagio in Lombardia e Veneto afferma che “per una volta il sud ha vinto contro il nord”), chi si fa prendere troppo dal panico e chi sottovaluta troppo la questione.
Decisamente bocciata Victoria Tei, che commenta così l’invito dei media e delle istituzioni a rimanere a casa: “A me non frega niente, io continuo a uscire. Quando morirà una persona di età tra i venti e trenta/quaranta, giovane e in salute, allora lì mi preoccuperò”.
Hanno destato scalpore anche Soleil Sorge e Marco Ferrero, ‘scappati’ ai Caraibi in piena emergenza Coronavirus, e Denis Dosio, che afferma candidamente di essere “scappato da Milano tipo Usain Bolt”.
Criticatissime infine le gaffe di due influencer molto seguite come Chiara Biasi e Chiara Nasti: la prima ha pubblicato lo screenshot di un suo messaggio privato che recitava, in riferimento al virus, “E nessuno che mi sta sul cazzo che muore!”; la seconda si è fatta una manicure a tema Coronavirus, aggiungendo “Fate finta che l’ho preso anch’io”. Entrambe “rimandate”.

Francesco Facchinetti, a capo dell’agenzia di talenti Newco Management, ci tiene a prendere le distanze: “Chiedo scusa per aver reso celebri certi blogger, influencer, che, non avendo nulla nella testa, dicono cose sui social tipo: ‘Ma io me ne vado in giro, tutto questo è esagerato’. Purtroppo queste persone hanno milioni di followers e la colpa è mia. Prenderò provvedimenti”.

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Coronavirus e Infodemia. I Social Media contro le Fake News

12 Marzo 2020

In piena crisi, gli italiani si rivolgono ai social network per notizie, informazioni e rassicurazioni.

Oltre all’epidemia da Coronavirus, si rischia quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha definito ”infodemia”, la diffusione di notizie false e informazioni errate e contraddittorie che da un lato portano a sottovalutare il problema e dall’altro a ingigantirlo.

Il monito è elementare quanto necessario, come chiedere agli italiani di lavarsi le mani: prima di condividere una notizia, verificarne la fonte e l’attendibilità.

Il problema sta proprio nel fatto che, al tempo dei social, la comunicazione d’emergenza non è in mano solo alle istituzioni, al personale medico e ai media, ma agli utenti stessi. Considerato che la gente è più propensa ad ascoltare persone comuni piuttosto che medici e istituzioni, questo può essere una grande risorsa o un grande pericolo.

In Cina, il contributo degli utenti sui social si è rivelato fondamentale per sfuggire alla “censura” del governo, informando il resto del mondo dell’epidemia in corso.
In Italia assistiamo da un lato a meme che “ridicolizzano” comportamenti sbagliati, dall’altro al proliferare di assurde cospirazioni e alla glorificazione di esempi negativi, come quelli costituiti da influencer come Victoria Tei e Soleil Sorge, che affermano pubblicamente di contravvenire alle indicazioni del Governo, contribuendo a diffondere ignoranza sull’argomento.

A dare il buon esempio, invece, gli influencer e i personaggi del mondo dello spettacolo che hanno utilizzato l’hashtag #IoRestoACasa per sensibilizzare gli italiani in merito alla necessità di uscire il meno possibile per evitare il contagio.
L’hashtag è stato prontamente ripreso dal Ministero della Salute e dalla Protezione Civile.

In questo contesto, le istituzioni italiane stanno dimostrando di essere all’altezza della situazione, con una comunicazione chiara e accessibile a tutti, in grado di puntare sull’enorme potenziale di “condivisibilità” dei contenuti sui social network.

Per giungere a questo traguardo, però, ci sono voluti un po’ di anni e, come spesso accade, gli utenti hanno anticipato le istituzioni.
La necessità di una comunicazione d’emergenza che passasse prima di tutto sui social network ha cominciato a delinearsi nel 2012, con il terremoto nel Centro Italia. L’evento è stato uno dei primi disastri naturali in cui le informazioni utili alla gestione dell’emergenza sono circolate grazie ai social, in particolare Twitter. Pochissime le istituzioni attive in quel contesto, scarsa la presenza dei profili di Protezione Civile Nazionale e Locale. L’impegno degli utenti si era quindi rivelato fondamentale.

Otto anni più tardi, in piena emergenza Coronavirus, le istituzioni sono riuscite a comprendere quanto l’intraprendenza divulgativa degli utenti debba essere canalizzata e organizzata, cercando di sfruttare al meglio il potenziale della comunicazione social.

In prima linea c’è naturalmente il Ministero della Salute, che dedica una sezione del suo sito a coloratissime infografiche pronte per essere condivise sui social. Inoltre, sono stati presi accordi con Facebook e Twitter per far sì che gli utenti che cercano informazioni sul Coronavirus possano essere immediatamente ricondotti alle fonti istituzionali.

Firmati anche accordi con Google e YouTube per far sì che le informazioni del Ministero della Salute (oltre che dell’OMS e della World Health Organization) compaiano fra i primi risultati di ricerca.

I social hanno preso anche importanti decisioni di loro iniziativa: Facebook sta cercando di limitare il proliferare di notizie false e fuorvianti sul Coronavirus e impedisce la sponsorizzazione di annunci che sfruttano l’emergenza a scopo di lucro, offrendo invece spazi pubblicitari gratuiti all’Oms.

A sorpresa interviene anche TikTok, il social dei giovanissimi: agli utenti che creano, visualizzano e interagiscono con contenuti correlati al Coronavirus, l’app presenta un avviso che, per dubbi o informazioni, invita a rivolgersi alle istituzioni internazionali o locali.
Inoltre, TikTok cerca di rimuovere video fuorvianti o inappropriati sull’argomento, affermando di non poter permettere “una disinformazione che potrebbe causare danni alla nostra comunità”, considerata anche la giovane età dei suoi membri.

Insomma, le piattaforme social si dimostrano in questo contesto perfette alleate delle istituzioni, dando una lezione agli organi di stampa (che stanno virando troppo spesso verso il sensazionalismo), e anche al Governo e alle Regioni, che si sono fatti scappare qualche passo falso.
La soluzione migliore, per il bene dei cittadini, sarebbe che tutti questi soggetti facessero fronte comune, fornendo sempre informazioni coerenti ed equilibrate.

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Il Coronavirus contagia la rete, i brand rispondono

5 Marzo 2020

Anche il più tragico fatto di cronaca può trasformarsi in un meme e il 2020 ce lo sta dimostrando alla grande: abbiamo iniziato l’anno con i meme sulla Terza Guerra Mondiale che sembrava imminente, poi è subentrato il Coronavirus con meme prima in versione internazionale e poi “Made in Italy”, per prendersi gioco delle contraddizioni e delle ipocondrie degli italiani.

Si è fatta molta ironia sulle mascherine, sul Virus che riduce i contatti sociali (per la gioia di molti) e sull’igiene che sembra divenuta una priorità solo in vista di una possibile pandemia, con Barbara D’Urso che, in diretta, fa “tutorial” su come lavarsi le mani: meglio tardi che mai!
Al centro dei meme più popolari c’è sicuramente l’Amuchina, con il suo gel igienizzante per le mani, che viene dipinta come la merce più rara e preziosa sul mercato (“Il mio tesssoro!” direbbe Gollum de Il Signore degli Anelli), con battute sui guadagni stellari dell’azienda a fronte di un fantomatico rincaro dei prezzi.

A quest’ultima accusa, Amuchina ha risposto direttamente sul suo sito internet, negando una variazione di prezzo.

Sempre parlando di igiene e di precauzioni, ha causato polemica un tweet della celeberrima Taffo Funeral Services che, ironicamente, auspicava un incremento dei decessi (e, di conseguenza, dei suoi potenziali clienti) per il Coronavirus, giocando sull’ignoranza collettiva con un post che invitava a non lavarsi le mani, a toccarsi spesso naso e bocca, a non coprirsi quando si tossisce.

Insomma, un vademecum di raccomandazioni al contrario che non è stato gradito dal popolo della rete. L’indignazione che cominciava a farsi strada su Twitter ha spinto Taffo a eliminare in fretta il tweet e a dichiarare di voler fare “un passo indietro rispetto alle istituzioni” con un video del responsabile commerciale Alessandro Taffo che debutta con la frase “In tanti ci state chiedendo un post sul coronavirus”, lasciando supporre che sul Coronavirus non si fossero proprio espressi, in un disperato quanto maldestro tentativo di obliterazione, che sembra tuttavia aver dato i suoi frutti (quasi nessuno parla della gaffe).
Gli screenshot comunque parlano chiaro: l’eliminazione del tweet è stato un passo falso in partenza, e Taffo si è comunque vista costretta ad ammetterne l’esistenza, senza tuttavia scusarsi (per la cronaca, anche quest’ultimo tweet è stato eliminato).

Insomma, l’umorismo caustico di Taffo è risultato decisamente fuori luogo in questo periodo di “psicosi collettiva”. A contribuire al clima apocalittico ci sono le sconvolgenti immagini dei supermercati quasi completamente svuotati, saccheggiati in massa come se fossimo all’alba di un olocausto nucleare. Ha destato l’attenzione dei social il fatto che, in mezzo a scaffali quasi vuoti, campeggiassero pile di confezioni di penne lisce avanzate. Questa tipologia di pasta era già stata in passato oggetto di scherno da parte della rete e vederla rimanere invenduta perfino in un’occasione del genere sembra aver confermato a molti quanto le penne lisce siano poco gradite ai consumatori.

Sebbene “l’odio” collettivo per le penne lisce non sia legato a uno specifico brand, una delle immagini più diffuse sui social reca in bella vista il marchio De Cecco, che ha intelligentemente risposto con un post: “Non tutte le #pennelisce sono lisce allo stesso modo: è la trafilatura al bronzo del Metodo De Cecco a renderle squisite!”.

A proposito di brand e di psicosi collettiva, nel resto del mondo non è certo andata meglio: secondo un sondaggio riportato dal New York Post, gli americani sarebbero restii ad acquistare la birra Corona a causa dell’associazione fra il nome del prodotto e il Coronavirus; lo conferma un’indagine di YouGov, il crollo del titolo in borsa (-8%) e milioni di ricerche effettuate su Google. La situazione è tale che l’azienda produttrice si è vista costretta ad emettere un comunicato che smentisce ogni possibile correlazione con il Virus.
Pare che tutto sia nato da alcuni meme assolutamente innocui, che hanno portato ad una situazione purtroppo degenerata in diversi paesi del mondo, che causerà ingenti danni economici al noto marchio di birra: si stimano perdite dei ricavi per circa 285 milioni di dollari.

È chiaro quindi che, in un’epoca in cui la rete riesce ad influenzare in modo così profondo il pensiero dei consumatori, sia necessario per qualunque brand rimanere costantemente informato su ciò che avviene online e sulle ripercussioni che questo possa avere per la propria reputazione, trovando il modo giusto per sfatare una “bufala” o per rispondere all’ironia del web, stando sempre attenti a non esagerare: la “gogna” social, per un brand, è sempre dietro l’angolo.

Noi di Siks possiamo aiutarti a curare la tua reputazione online con strategie mirate di social media marketing, contattaci per ulteriori informazioni.

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