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Siks adv

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Advertising: il Coronavirus colpisce i brand

31 Marzo 2020

A inizio quarantena, abbiamo sorriso con i tanti post che re-immaginavano l’advertising dei grandi brand ai tempi del Coronavirus, ma ci siamo subito resi conto che quella che veniva dipinta non era una prospettiva così surreale.


In un certo senso, lo scherzo ha anticipato la realtà: in una situazione come quella che stiamo vivendo, è fondamentale che i brand prendano la parola per sensibilizzare e rassicurare i propri consumatori, dimostrando di essere affidabili, attenti e “sul pezzo”.

Tuttavia, pare che la strada sia ancora lunga: una ricerca di GfK effettuata qualche settimana fa sostiene che i consumatori percepiscano i brand come poco attivi a fronte di questa emergenza; questo è sicuramente un fattore su cui bisogna lavorare.
C’è da dire, però, che gran parte delle aziende (comprese le più grandi multinazionali) hanno cominciato ad esprimersi sulla situazione in tempi recentissimi. In fondo non è un mistero che questa pandemia globale abbia colto di sfuggita tutti, anche i più grandi brand.

Pessimo tempismo

L’emergenza che stiamo vivendo ha portato molte aziende che non producono merce di prima necessità a tagliare i costi pubblicitari per rispondere a un pubblico che presta molta attenzione alle notizie (sia quelle affidabili che, purtroppo, quelle false) e poca agli annunci.

Per molte altre aziende, l’emergenza è capitata “fra capo e collo”, nel bel mezzo di campagne che spesso, alla luce della situazione attuale, si è costretti a cestinare.

È il caso di KFC, costretta a ritirare una campagna basata sul motto “Finger licking good”, con manifesti e spot che mostravano persone intente a leccarsi le dita: non certo il massimo, in questo periodo!

Allo stesso modo, la marca di cioccolato Hersey si è vista obbligata a ritirare uno spot in cui apparivano abbracci e strette di mano e Geico, società di assicurazioni auto, una pubblicità in cui ci si dava semplicemente un ‘High Five’ (‘batti cinque’).
Un caso italiano è invece il ritorno del Crodino di Campari, l’analcolico ‘biondo’ che, nell’ultimo spot, “fa abbracciare il mondo” nel bel mezzo di una pandemia globale.

A tal proposito, ecco la gaffe della birra Corona, già penalizzata per il suo nome, criticata per la frase “Coming ashore soon” che per molti poteva alludere alla diffusione del Virus su scala globale.

Tutte da cestinare, quindi, le campagne del settore travel, che invitavano a viaggiare per l’Italia e per il mondo ancora nei primi giorni di quarantena.
Se gran parte di queste sono sviste fatte in buona fede, non si può non riconoscere un certo intento provocatorio nelle campagne di WeRoad lanciate a inizio marzo. In quel momento il Coronavirus poteva sembrare un argomento su cui poter scherzare, ma di lì a poco la situazione sarebbe degenerata, costringendo l’azienda a ritirare le campagne.

Giocare col logo

Anche in questo caso, un progetto creativo nato per gioco ha anticipato i brand veri e propri: si tratta di una galleria di loghi di importanti brand, modificati da un artista sloveno per rispettare la “distanza sociale” imposta dalla pandemia.
La galleria è stata pubblicata su Behance il 14 marzo e include anche il logo delle Olimpiadi, che sarebbero state rinviate solo dieci giorni dopo.

Dieci giorni più tardi debutta anche la trovata pubblicitaria di McDonald’s Brasil, che gioca a separare i celebri archi del suo logo. Il concetto base è lo stesso che in Italia sentiamo ripetere fino alla nausea da un mese a questa parte. Per citare Giuseppe Conte, “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”.

L’espediente del logo viene utilizzato anche da Coca Cola, Volkswagen e Audi.

A puntare sul monito “Restate a casa” ci hanno pensato invece Nike (“Play inside, play for the world”) e Burger King, che ha modificato la dicitura “Home Of The Whooper” con un eloquente “Stay Home”.

E, per finire come abbiamo iniziato, chiudiamo con un’altra idea nata per scherzo da due creativi thailandesi, che gioca a spaventare chi ancora non ha capito che deve rimanere a casa. Nello spot viene inscenata una finta campagna di Netflix in cui le strade delle città vengono tappezzate da manifesti che fanno spoiler sulle serie più seguite della piattaforma.
Il messaggio? Se questi manifesti ti rovinano la sorpresa, beh… è colpa tua che non sei rimasto a casa.
L’ideale per chi ha più paura degli spoiler che del Coronavirus.
Chissà, forse potrebbe funzionare.

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Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare

17 Ottobre 2019

Chi sono i Mad Man? Esistono davvero? Questa creatura quasi mitologica – camicia, cravatta a righe e idee geniali – trova la sua personificazione in William “Bill” Bernbach e nella sua rivoluzione creativa che ha scosso, negli anni ’50, il mondo dell’advertising allora tradizionale fondando un modello destinato a non invecchiare mai.
Oltre la famosa serie TV, approdiamo nella realtà di una storia – e di un manifesto intellettuale e creativo – che ancora oggi riecheggia nelle agenzie di comunicazione: pensare fuori dalla scatola per coinvolgere tutti.

William, ma per tutti “Bill”

William “Bill” Bernbach nasce nel 1901 nel Bronx di New York, da una famiglia modestissima ma creativa: il padre, disegnatore di abiti femminili, è stato uno dei suoi grandi ispiratori.
Bernbach lavora sin da giovanissimo, combatte nella Seconda Guerra Mondiale, e approda già nel 1946 nella storica Agenzia Grey Advertising, prima come copywriter e poi come direttore creativo: una scalata che non dura più di un paio di anni. Infatti, Bernbach, nel 1947 lascia la Grey per fondare la sua agenzia, la Doyle Dane Bernbach – DDB -.
E lo fa con una lettera significativa, forse vero incipit di una rivoluzione del pensiero, di cui vi riportiamo un frammento:

“[…] Sono preoccupato che cominci la sclerosi delle arterie creative. Ci sono un sacco di bravissimi tecnici nella pubblicità. E sfortunatamente hanno il gioco facile. Conoscono tutte le regole. Possono dirti che la presenza di persone in un annuncio lo faranno leggere di più. Possono dirti che una frase dovrebbe essere corta così o lunga cosà. Possono dirti che il testo dovrebbe essere diviso in paragrafi per una più facile e invitante lettura. Possono darti fatti, ancora fatti e ancora fatti. Sono gli scienziati della pubblicità. Ma c’è un piccolo problema. La pubblicità è fondamentalmente persuasione e la persuasione non è una scienza ma un’arte […]”

Si parla di “arte” che può salvare la comunicazione dalla concorrenza, dalla tanta consapevolezza accompagnata dalla scarsa capacità di persuasione, malattia di cui soffrivano molti pubblicitari dell’epoca: un’estrema sintesi che ha portato alla nascita di un nuovo capitolo nella storia dell’advertising.

La rivoluzione creativa di Bernbach

Una palestra per la mente, per sconfiggere la pigrizia, una capacità di vedere oltre, la rivalutazione dell’arte dello scrivere e dell’uso consapevole del copywriting. Tutto questo è alla base di una rivoluzione che fa emergere forte e chiara la voce dei copy e degli art: proprio lui li unisce in quell’unicum creativo che oggi conosciamo.
Non solo: Bernbach, e tutta la DDB, hanno scardinato l’allora convenzione del portare sul palmo della mano il cliente e il suo prodotto. Perché non partire “dal piccolo”, “dal secondo”, invece che essere sempre primi, unici e irripetibili? E così nascono le storiche campagne pubblicitarie Volkswagen, con la mitica headline “Think small” (1959), in un rigoroso bianco e nero, accostata all’immagine, piccola, piccolissima, relegata in un angolo, di un Maggiolone.
Lo stesso accadde poi per “We try harder”(1963): “noi ce la mettiamo tutta, proprio perché non siamo dei numeri uno, perché veniamo dal basso”. Si tratta dell’autonoleggio Avis, che ancora oggi usa questo copy.

Sovvertire le convenzioni legate all’advertising, sovvertire gli status symbol di un’America in crescita, per dare reale valore a un messaggio che non deve partire per forza da basi opulente e ultra-positive: perché il vantaggio si vede ancora meglio se non è evidenziato in maniera prepotente.
Basta essere creativi e scappare dalle forzature.

Perché la sua lezione è valida ancora oggi?

Perché la creatività è un bene collettivo, e può fregiarsi di umiltà, di semplicità, di fantasia, attaccando il reale piano della comunicazione. Bernbach ha portato onestà e partecipazione nell’advertising, creando quel “filo di verità” che porta l’interlocutore nel copy, nell’art, per relazionarsi con ciò che si vuole comunicare.
Insomma, la lezione di Bernbach riguarda proprio tutti: copy, art, clienti, target finale. Un insieme di figure sempre coinvolte tra loro dove nessuno è solo un operaio, solo un committente, solo uno spettatore.
Perché l’advertising è arte del comunicare, e la comunicazione è un qualcosa che riguarda tutti noi.

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Immagini, advertising, responsabilità: gli errori imperdonabili delle maison di moda

2 Ottobre 2019

Succede spesso che la comunicazione si intrecci con la moda: un campo affascinante, ché anche nel ramo dell’advertising lascia sempre il segno. Per lo più.
Già: perché che succede quando le grandi maison e i maestri couturier si fanno calcare troppo la mano dalla necessità di idealizzare il loro prodotto, commettendo qualche gaffe decisamente non perdonabile a livello sociale?
Questo è quanto è successo alla Maison Dior la quale, a metà di questo mese ormai giunto al termine, ha sottovalutato le conseguenze di una campagna advertising con protagonista Johnny Depp.

Dior: autoreferenzialità non responsabile

“We are the land. Sauvage”: in un percorso a ritroso su questo spot, girato nel deserto del Nevada, il claim finale ha fatto storcere il naso a molti, negli USA e non solo.
Perché la “terra selvaggia” in questione è la terra dei Nativi americani che, come la storia – ma anche i più recenti oneri della cronaca – ci insegnano, sono stati sterminati e rinchiusi nelle riserve.
Un accostamento quindi di termini decisamente in antitesi. Il tutto, poi, rafforzato da immagini affascinanti ma del tutto posticce: la bellissima Sioux, che in realtà è un’attrice canadese, e il ballerino intento a danzare in variopinti costumi Cherokee, ma sulle note di una chitarra elettrica suonata da Johnny Depp.
Che cosa si evince, da questo spot diffuso su TV e sulla carta stampata? Una mancanza di analisi e di responsabilità da parte della grande Maison Couturière che, pur di dare un contesto d’ispirazione forte – rimarcando la sensazione che il nome e l’aroma di questa eau de parfum devono per forza dare – sbaglia completamente il significante andando ben oltre la stereotipizzazione, ma rimanendo del tutto dentro all’auto-referenzialità.

Non solo Dior: il caso Gucci

Anche per la maison fiorentina Gucci sembrano lontani i tempi sognanti di “Flora”, l’eau de parfum che ammiccava ai richiami di “Pic Nic a Hanging Rock” sulle note dilatate della cover di “Heart of glass” dei Blondie: all’inizio dello scorso 2019, il brand è stato pubblicamente accusato da Spike Lee e altri esponenti del mondo artistico americano di non avere volontariamente un numero adeguato di stilisti neri. Non solo: negli stessi giorni, Gucci ha dovuto ritirare dal commercio USA un maglione che ricordava, a detta di molti, il “blackface”, il costume che, tra la fine dell’800 e gli anni ‘30, veniva usato dai bianchi per ridicolizzare gli schiavi. Solo una coincidenza? Molto probabile.
Ma la questione è un’altra: la maison, attaccata soprattutto su Twitter, ha risposto alle accuse con una dichiarazione di intenti – assumere sicuramente stilisti neri –  e un’azione concreta – far sparire dal commercio il maglione incriminato e porgere le più sentite scuse. Dior, invece, non ha fatto nulla per porre rimedio a questo scandalo al sole: tempestati di mention e commenti indignati da parte di mezzo mondo, la maison non ha ritirato lo spot, non ha fatto uscire nessun position paper, non ha messo in atto nessuna manovra di crisis management. Semplicemente, forse, lascerà che la folla si calmi e che lo spot venga dimenticato.

In Siks ADV, però, ci viene naturale riflettere su questi meccanismi comunicativi, e notare quale sia la grande mancanza di fondo: una totale assenza di crisis management, che oggi non può passare per un semplice comunicato di scuse, ma potrebbe arricchirsi di un qualcosa di unconventional, magari riprendendo proprio la campagna incriminata e, tingendola di ironia, sorridere di sé stessi e di tutti quegli errori che possono costellare il cammino stellato della moda.

Perché ciò che fa un brand è la sua capacità di comunicare, anche “fuori dalla scatola” autocelebrativa o convenzionale: un comunicazione che non si esaurisce solamente nel senso di evocazione che il prodotto, con il suo naming e la sua costruzione di immagini, ci dà. E, forse, per questo, preferiamo chi se la gioca su altri piani, proprio come Chanel fece in questo intramontabile classico dell’ADV firmato da Jean-Paul Goude.

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Siks Adv firma #sempreconte, la nuova campagna abbonamenti U.C. Sampdoria

30 Luglio 2019

Siks Adv ha realizzato per Sampdoria il concept creativo di comunicazione #sempreconte che mette la passione del tifo sampdoriano al centro della comunicazione, esaltando il legame indissolubile con la sua squadra del cuore. Una campagna di grande impatto con dei testimonial d’eccezione: i tifosi blucerchiati. Attraverso copy coinvolgenti legati al linguaggio calcistico, i tifosi diventano essi stessi parte integrante della squadra, come fossero il dodicesimo uomo in campo che gioca ogni partita, anche se dagli spalti.

Sette storie, sette volti, sette ritratti con lo sguardo rivolto verso lo spettatore che esprimono il forte attaccamento alla squadra. Tifosi autentici di età, nazionalità, lingua differenti, ma le cui storie, tutte profondamente diverse tra loro, sono accomunate dal fatto di confluire in una più grande con la S maiuscola. Proprio come Sampdoria. Tra loro c’è la storia di Santino, signore di 90 anni nato a Palermo e già tifoso dell’Andrea Doria, ma c’è anche la storia di Hubert, un energico undicenne, nato a migliaia di chilometri di distanza quasi ottant’anni più tardi. Eppure è così, è la Sampdoria a creare tra loro un filo invisibile.

L’uno è un veterano di presenze allo stadio, l’altro un difensore della maglia. Maglia di cui si è innamorato, come spesso accade, un po’ a sorpresa.
Agli occhi di Santo, di Hubert, di Roberth, ma anche dei genovesissimi Laura, Giovanni, Giulia e Moreno è affidato un messaggio speciale. La Sampdoria è #sempreconte, come raccontano queste storie, scelte tra tante, di chi non ha mai fatto mancare il suo tifo dagli spalti di Marassi.

La comunicazione fa parte di un’operazione integrata che si sviluppa attraverso campagna affissioni, stampa, video social, sponsorizzazioni Facebook e Instagram.

Credits:
Agenzia: Siks Adv
Creative Director: Leopoldo Befe
Art Director: Paola Ferrando
Copywriter: Riccardo Ciunci
Account Director: Pierluigi Beccaris
Fotografia: Andrea Facco
Post-Produzione: Camilla Berni

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Cannes Lions 2019: i migliori spot vincitori appartengono al sociale

1 Luglio 2019

Sì, c’è un olimpo dorato a cui tutti i team creativi puntano, che seguono e da cui prendono spunti per quei trend che detteranno legge nelle campagne advertising a venire: i Leoni di Cannes, il Festival Internazionale della Creatività in pubblicità.
Sette intensissimi giorni sulla Croisette della città francese, presso il Palais des Festivals et Congrès.
Un appuntamento che si sussegue dal 1854, che ha visto passarsi il testimone tra ben 30.000 iscritti e oltre 90 paesi in gioco. Il tutto, ovviamente, culmina, come nella migliore delle creazioni, il settimo giorno, con la celebre premiazione delle migliori campagne e dei migliori concept.

Dopo questa breve ma doverosa introduzione, dedicata a chi, in caso, ancora non conoscesse la kermesse, possiamo addentrarci nel clou della questione: i vincitori 2019, ovviamente visti dagli occhi di Siks ADV!

I migliori spot: la nostra top 3 è per il sociale

    • Google Creatability: più che un’ADV, una vera e propria idea permeante che consente di tradurre in tech e intelligenza artificiale le attività più creative – come musica e disegno – per persone con disabilità. Un esempio? Quello illustrato da Chancey Fleet, accessibily advocate in Google, che racconta la possibilità – per chi non vede – di disegnare su schermo attraverso una mappatura del movimento del corpo, oltre alla possibilità di ricevere in tempo reale una descrizione di ciò che si sta disegnando. Una metodologia applicabile anche alla musica, con la stessa modalità, per scegliere campioni di strumenti differenti e comporre il proprio brano.
    • Ikea Pax for this able: pratico, effettivo, semplice. Più che uno spot, una dimostrazione. Venti secondi, un mobile Pax bianco, uno sfondo giallo, e Pavel che testa la nuova soluzione Ikea, la maniglia ideata per portatori di handicap. Insomma, nulla di troppo stupefacente: fino all’arrivo del payoff finale, “this able”, gioco di parole che rende abile chi prima non poteva compiere con facilità un’azione per molti banale. E questo payoff è diventato il nome di una linea di strumenti facilitatori a cui il brand ha dedicato anche un sito web ad hoc.
    • Nike – Dream Crazy: un vibrante susseguirsi di emozioni, in due minuti di girato e in pieno stile Nike. Un susseguirsi serratissimo di fotogrammi dove “dream crazy”, titolo e payoff del video, racconta come lo sport sia accessibile a tutti, rappresentando un mezzo attraverso cui appianare ogni divergenza e ogni differenza che la società sottolinea. La particolarità? La storia che scandisce il montaggio è raccontata dal quarterback Colin Kaepernick, discriminato ed espulso dal campionato di football americano nel 2016 per essersi inginocchiato durante l’inno, denunciando così il razzismo dilagante nello sport più amato degli USA.

E l’Italia?

Tanti premi per il bel paese: l’Italia ha vinto per lo più nelle categorie social o brand experience, e l’agenzia Pubblicis di Milano si è aggiudicata un bell’en plein con ben tre campagne premiate. Uno di questi piccoli grandi capolavori ha catturato la nostra attenzione: si tratta dello spot Leroy Merlin “Lessons for good”, un girato di oltre due minuti ambientato nei retail Leroy Merlin che punta il tutto per tutto su una maratona di solidarietà. Perché il brand di hobbistica e casa francese ha fatto del contenuto free, come i suoi workshop gratuiti, un forte punto di valore. E con questo spot sicuramente il messaggio arriva forte e chiaro!

Tiriamo le somme

Un’edizione, quella del 2019, che ha visto un vero e proprio cambiamento di consapevolezza e di tematiche. Perché i Cannes Lions hanno premiato la tematica sociale, e la consapevolezza da parte dei brand di quanto sia importante analizzare la realtà, le sue problematiche, le sue sfaccettature: perché solo così si può mirare a un miglioramento collettivo. E perché la comunicazione non può più essere solo una vetrina, ma diventa, giorno dopo giorno, una fonte di informazione creativa ed efficace, sempre più.

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing, Creatività Tagged With: campagna pubblicitaria, viral video

La pubblicità ai tempi del web

21 Marzo 2012

Mike, il fondatore di DollarShaveClub, è il protagonista di questo spot creato appositamente per il web e che sta diventando velocemente virale. Il video è divertente e vagamente nonsense, come molti dei video virali di Youtube (tra cui “A Twitter il futuro sei tu” e Mai dire No al Panda) e sta creando parecchio “buzz“. Il Video di DollarShaveClub ha 3,653,730 visualizzazioni e 36,012 Voti positivi. Anche il sito internet ha avuto il pieno di visite grazie a questo video, il grafico di Alexa.com ci da un quadro della situazione

 

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