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Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare

17 Ottobre 2019

Chi sono i Mad Man? Esistono davvero? Questa creatura quasi mitologica – camicia, cravatta a righe e idee geniali – trova la sua personificazione in William “Bill” Bernbach e nella sua rivoluzione creativa che ha scosso, negli anni ’50, il mondo dell’advertising allora tradizionale fondando un modello destinato a non invecchiare mai.
Oltre la famosa serie TV, approdiamo nella realtà di una storia – e di un manifesto intellettuale e creativo – che ancora oggi riecheggia nelle agenzie di comunicazione: pensare fuori dalla scatola per coinvolgere tutti.

William, ma per tutti “Bill”

William “Bill” Bernbach nasce nel 1901 nel Bronx di New York, da una famiglia modestissima ma creativa: il padre, disegnatore di abiti femminili, è stato uno dei suoi grandi ispiratori.
Bernbach lavora sin da giovanissimo, combatte nella Seconda Guerra Mondiale, e approda già nel 1946 nella storica Agenzia Grey Advertising, prima come copywriter e poi come direttore creativo: una scalata che non dura più di un paio di anni. Infatti, Bernbach, nel 1947 lascia la Grey per fondare la sua agenzia, la Doyle Dane Bernbach – DDB -.
E lo fa con una lettera significativa, forse vero incipit di una rivoluzione del pensiero, di cui vi riportiamo un frammento:

“[…] Sono preoccupato che cominci la sclerosi delle arterie creative. Ci sono un sacco di bravissimi tecnici nella pubblicità. E sfortunatamente hanno il gioco facile. Conoscono tutte le regole. Possono dirti che la presenza di persone in un annuncio lo faranno leggere di più. Possono dirti che una frase dovrebbe essere corta così o lunga cosà. Possono dirti che il testo dovrebbe essere diviso in paragrafi per una più facile e invitante lettura. Possono darti fatti, ancora fatti e ancora fatti. Sono gli scienziati della pubblicità. Ma c’è un piccolo problema. La pubblicità è fondamentalmente persuasione e la persuasione non è una scienza ma un’arte […]”

Si parla di “arte” che può salvare la comunicazione dalla concorrenza, dalla tanta consapevolezza accompagnata dalla scarsa capacità di persuasione, malattia di cui soffrivano molti pubblicitari dell’epoca: un’estrema sintesi che ha portato alla nascita di un nuovo capitolo nella storia dell’advertising.

La rivoluzione creativa di Bernbach

Una palestra per la mente, per sconfiggere la pigrizia, una capacità di vedere oltre, la rivalutazione dell’arte dello scrivere e dell’uso consapevole del copywriting. Tutto questo è alla base di una rivoluzione che fa emergere forte e chiara la voce dei copy e degli art: proprio lui li unisce in quell’unicum creativo che oggi conosciamo.
Non solo: Bernbach, e tutta la DDB, hanno scardinato l’allora convenzione del portare sul palmo della mano il cliente e il suo prodotto. Perché non partire “dal piccolo”, “dal secondo”, invece che essere sempre primi, unici e irripetibili? E così nascono le storiche campagne pubblicitarie Volkswagen, con la mitica headline “Think small” (1959), in un rigoroso bianco e nero, accostata all’immagine, piccola, piccolissima, relegata in un angolo, di un Maggiolone.
Lo stesso accadde poi per “We try harder”(1963): “noi ce la mettiamo tutta, proprio perché non siamo dei numeri uno, perché veniamo dal basso”. Si tratta dell’autonoleggio Avis, che ancora oggi usa questo copy.

Sovvertire le convenzioni legate all’advertising, sovvertire gli status symbol di un’America in crescita, per dare reale valore a un messaggio che non deve partire per forza da basi opulente e ultra-positive: perché il vantaggio si vede ancora meglio se non è evidenziato in maniera prepotente.
Basta essere creativi e scappare dalle forzature.

Perché la sua lezione è valida ancora oggi?

Perché la creatività è un bene collettivo, e può fregiarsi di umiltà, di semplicità, di fantasia, attaccando il reale piano della comunicazione. Bernbach ha portato onestà e partecipazione nell’advertising, creando quel “filo di verità” che porta l’interlocutore nel copy, nell’art, per relazionarsi con ciò che si vuole comunicare.
Insomma, la lezione di Bernbach riguarda proprio tutti: copy, art, clienti, target finale. Un insieme di figure sempre coinvolte tra loro dove nessuno è solo un operaio, solo un committente, solo uno spettatore.
Perché l’advertising è arte del comunicare, e la comunicazione è un qualcosa che riguarda tutti noi.

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Neuromarketing: il potere della scienza applicata al marketing

22 Maggio 2019

Fondere il marketing tradizionale con la neurologia e la psicologia: una particolare “mistura” che chiamiamo neuromarketing. Una commistione tra scienza medica ed economia ormai divenuta una teoria – scientifica! – di riferimento per il marketing e le sue sfumature, tra retail fisico e web, grazie alle possibilità che essa offre nell’individuare canali di comunicazione che mirano dritto dritto ai processi decisionali d’acquisto. Perché il neuromarketing si prefigge un obiettivo tanto visionario quanto concreto: illustrare ciò che accade nel cervello delle persone, prima che queste diventino utenti, o clienti, analizzando alcuni stimoli indotti da prodotti, brand e advertising, per creare strategie forti il cui obiettivo porta direttamente… a un click sul bottone “check out”.

Alla base del neuromarketing c’è una ricerca:

Fu Ale Smidts, ricercatore olandese, a occuparsi per primo di neuromarketing, oltre che a coniarne il nome: correva l’anno 2002. E proprio Smidts scopri come alcune zone del sistema cerebrale umano siano decisamente più attive durante l’esecuzione del processo decisionale – vere e proprie lampadine a intermittenza – legato all’acquisto. Come scoprì tutto questo? Attraverso sistemi di risonanza magnetica funzionale ed EEG, ovvero encefalogrammi, per dare una spiegazione neurocognitiva agli stimoli più puramente emozionali. La finalità dell’esperimento? Quello pubblicitario e strategico, per aiutare i big brand a determinare l’appeal e la potenza comunicativa dei loro prodotti e il percepito della loro comunicazione.

Due casi-test esemplificativi

Martin Lindström è l’autore di “Buy-ology”, best seller del campo marketing e vendite: nella sua opera, l’autore ha dedicato ampio spazio a un test che vede protagoniste le controindicazioni riportate sui pacchetti di sigarette: attraverso l’intervista a un campione di fumatori impenitenti, a cui è stato chiesto quali effetti avessero questi messaggi, è stato dimostrato che, sebbene molti di loro avessero dichiarato un “ripensamento” sul fumo, i loro centri nevralgici, monitorati da un EGG, dichiaravano una forte, fortissima voglia di fumare.

Anche il famoso Pepsi Challenge Test costituisce una splendida allegoria di quello che è il potere del neuromarketing: ai consumatori-campione è stato chiesto di scegliere tra due tazze bianche contenenti, rispettivamente, Pepsi e Coca-Cola. I risultati sono stati stupefacenti: la maggioranza di chi ha preso parte all’esperimento ha asserito di preferire la Pepsi, senza sapere cosa ci fosse in realtà nelle tazze. Ma non solo: quando è stato loro domandato se avessero bevuto Pepsi o Coca-Cola, quasi tutti hanno detto di aver bevuto quest’ultima. Perché? Perché ha vinto l’immagine di brand più forte, con oltre un secolo di ADV serrata e di riconoscibilità assoluta. Quando la fedeltà al marchio va oltre la percezione del reale.

Neuromarketing: quali campi di applicazione?

Pensiamo all’ecommerce, ma pensiamo anche alle strategie di re-branding, o di branding “da zero”, fino alla user e customer experience: tutto questo presuppone una visione del marchio, dei suoi valori, della sua unique selling proposition, e della sua capacità di ammaliare che parte proprio dall’impatto. Infatti, le persone ricordano un marchio, e l’esperienza che questo sa regalare, quanto più questo è in target con i loro bisogni, le loro necessità, i loro gusti, anche indotti. E, il rovescio della medaglia, vede protagonisti i brand, che hanno ormai la grande responsabilità di conoscere alla perfezione il proprio pubblico. Perché non utilizzare, dunque, all’interno delle proprie strategie di branding, che comprendono sito web, esperienze di navigazione e di acquisto, campagne pubblicitarie, gestione dei social media, e molto altro, il coinvolgimento emotivo? Non parliamo di sola e pura emozionalità, ma anche di suscitare un’urgenza di acquisto: e tutto questo è applicabile anche nel settore retail e shop concreto, non solo a ciò che è legato al mondo web.

Come fare? Beh, laddove non sia possibile testare la risposta cerebrale agli stimoli con un EEC dei propri clienti, cosa decisamente non facile, possiamo dedicare un po’ del nostro tempo ad alcuni testi che aiutano a comprendere e ad applicare modelli di neuromarketing alle strategie: un titolo che ha spopolato in Siks ADV è certamente “Brainfluence” di Roger Dooley che, attraverso 100 esempi pratici, propone esperimenti ed esempi di “decision pattern” tutti da applicare.
Non ci resta che augurarvi buona lettura!

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We know drama

13 Aprile 2012

Per presentare il lancio del nuovo canale televisivo della TNT in Belgio, è stata creata una campagna pubblicitaria decisamente particolare. Lo slogan di TNT è “We Know Drama” e come dimostrarlo se non aggiungendo Dramma alla vita tranquilla di una piccola città Belga?

(Via phibious)

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