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Agenzia di comunicazione a Genova

social media marketing

Sparire dai social: sì o no? Una riflessione sul delicato equilibrio tra assenza e presenza.

7 Ottobre 2024

In un’era in cui la visibilità è tutto, l’idea di sparire dai social media può sembrare controintuitiva, eppure porta con sé una riflessione interessante. Dovremmo essere sempre presenti o c’è valore anche nell’assenza? La risposta è complessa: sì e no. È importante esserci per costruire un dialogo con il proprio pubblico, ma anche l’assenza ha potere comunicativo.

Shhh, parla l’assenza.

Fare silenzio in mezzo a tanto rumore è un atto di distinzione. L’assenza rompe la routine e infrange l’aspettativa del dover esserci. Dà delle pause e crea curiosità, attesa e riflessione. Questo spazio vuoto genera domande e amplifica l’impatto di un eventuale ritorno sulla scena. L’attesa generata dal marketing dell’assenza è d’altronde una via che stuzzica il desiderio, creando quel velo di mistero, di limited edition, che genera la voglia di scoprire il non detto.

Come le leggende?

Molte aziende hanno sperimentato il marketing dell’assenza. Un esempio eclatante è Lush, con il suo social detox, o Bottega Veneta, che ha scelto di ritirarsi dai social media per un periodo con un atto consapevole e forte, intensificando il senso di esclusività del brand. Anche molti artisti, d’altronde, sfruttano la tecnica di sparire temporaneamente per poi tornare presenti con più forza. La campagna silenziosa, insomma, può aumentare il volume delle prossime cose da dire.

Questione di Fomo?

Tuttavia, sono le stesse logiche delle piattaforme digitali che ci incoraggiano a essere costantemente attivi, e la FOMO (Fear of Missing Out) – la paura di essere esclusi da esperienze, eventi e spinte algoritmiche – può portarci a saturare i nostri contenuti. Ciò rischia di far scendere la qualità, facendo risultare la presenza ripetitiva o scontata. 

È davvero possibile creare qualità e interesse ogni giorno?

Puntare sulla quantità piuttosto che sulla qualità può portare a una visibilità senza sostanza. Al contrario, lavorare nell’ombra e riapparire con un contenuto significativo può generare una maggiore attenzione. Come si dice, “less is more”: quando si sceglie di essere presenti, bisogna non essere dati per scontati. Fare la differenza.

Essere presenti nel presente.

La visibilità continua permette però di mantenere vivo il rapporto con la propria community, consolidando la fiducia e rafforzando il riconoscimento del brand o del personal brand. 

La presenza quotidiana offre anche l’opportunità di sperimentare nuovi trend ed essere attuali, monitorando in tempo reale le reazioni del pubblico e ottimizzando la propria strategia di comunicazione. Insomma, esserci permette di rimanere rilevanti e al centro della conversazione.

Quindi? Esserci o non esserci?
Forse non è questione di esserci sempre, ma di esserci le volte che contano.

Esserci quando si ha qualcosa di sostanza da dire, contando sul fatto che si può avere spesso qualcosa di interessante da dire, quando ci si mette in un’ottica di comunicazione autentica, seguendo e approfondendo i propri valori.

Ricordandosi, poi, che anche sapersi nascondere può essere significativo e dare nuovo valore alla propria presenza.

Comunica ciò che conta.

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Nano-influencer caratteristiche e vantaggi per i brand

15 Marzo 2024

Quando si parla di influencer marketing, spesso si tende a pensare a partnership fra brand e profili con milioni di follower. In realtà, un abbinamento tra un marchio e un influencer può essere vincente a prescindere dal numero di seguaci di quest’ultimo, anzi… 
In molti casi, le collaborazioni con creator dal seguito più ristretto possono rivelarsi più efficaci. Scopriamo come e perché in questo articolo!

Le diverse tipologie di influencer

Prima di partire, facciamo un breve riepilogo di come vengono comunemente classificati i profili degli influencer sulla base del loro seguito:


  • Nano-influencer: da 1.000 a 10.000 follower
  • Micro-influencer: da 10.000 a 100.000 follower
  • Macro-influencer: da 100.000 a 1 milione di follower
  • Mega-influencer: oltre 1 milione di follower


In questo caso ci concentreremo sui nano-influencer, anche se gran parte delle cose che diremo possono valere anche per i micro-influencer.

Perché collaborare con un nano-influencer?

Analizziamo, prima di tutto, i punti di forza dei nano-influencer nel rapporto con i propri follower, un aspetto fondamentale per i brand che intendono collaborare con questi profili. In particolare, rispetto a mega- e macro-influencer, notiamo che i creator con un seguito più ristretto possono contare su:

Maggiore engagement

I nano-influencer hanno un pubblico ristretto, ma altamente fidelizzato, coinvolto e interessato ai loro contenuti. Questo si traduce in un tasso di engagement (like, commenti, condivisioni) nettamente superiore rispetto a influencer più grandi. 
Inoltre, i nano-influencer sono più propensi a interagire direttamente con i propri follower, dando vita a community particolarmente solide e durature. 


Maggiore autenticità

Se è vero che, in media, un influencer che sponsorizza un prodotto sui social può risultare più credibile e autentico di un personaggio del mondo dello spettacolo che fa da testimonial in uno spot televisivo, è altrettanto vero che non tutti gli influencer possono vantare lo stesso grado di autenticità nella percezione del pubblico. Infatti, se i macro- e mega-influencer sono considerati celebrità del web, i micro- e nano-influencer conservano una maggiore autenticità perché vengono visti come persone comuni, molto vicine ai loro follower. I loro contenuti sono quindi percepiti come più genuini rispetto a quelli dei creator più grandi, che possono apparire più distanti e impersonali nelle loro modalità comunicative. Come abbiamo già accennato, i nano-influencer tendono a interagire molto di più con i propri follower, costruendo con loro un rapporto più stretto, più personale e personalizzato, basato sulla fiducia. 
Inoltre, all’interno di una determinata nicchia, le voci di questi creator possono risultare particolarmente credibili, dunque autorevoli. 
L’azione combinata di tutte queste dinamiche fa sì che le sponsorizzazioni dei nano-influencer appaiano più spontanee, affidabili e persuasive agli occhi dei possibili acquirenti, con tutti i vantaggi che ne derivano.

Maggiore targetizzazione

I profili dei nano-influencer tendono a rivolgersi a settori specifici, che si tratti di ambiti lavorativi o di hobby, interessi e passioni che i creator condividono con il proprio pubblico. Una condivisione che, lo ribadiamo, contribuisce ad alimentare un legame stretto e profondo con i propri seguaci. Collaborare con un nano-influencer, quindi, permette ai brand di raggiungere un pubblico altamente profilato, attivo e interessato all’interno di una specifica nicchia di mercato. Al contrario, i macro- e mega-influencer, avendo un pubblico più generalista, non garantiscono una targettizzazione altrettanto precisa.

Le collaborazioni con i micro-influencer presentano, inoltre, diversi vantaggi pratici per i brand. Ecco i principali:

Costi inferiori, maggiori opportunità

I costi di collaborazione con i nano-influencer sono decisamente inferiori rispetto a quelli degli influencer più grandi. A livello strategico, il budget che si spenderebbe per la collaborazione con un singolo macro-influencer potrebbe essere ripartito in più collaborazioni con diversi nano-influencer. In questo modo, il brand potrebbe raggiungere un pubblico più ampio e diversificato, sperimentando l’impatto dello stesso prodotto su diverse frange di pubblico.

Maggiore flessibilità e longevità

Davanti alla prospettiva di una collaborazione, i nano-influencer sono generalmente disposti a mettersi in gioco e ad adattarsi alle esigenze dei brand più di quanto facciano gli influencer di maggiori dimensioni. Sono anche più propensi a coltivare partnership a lungo termine con uno o più brand.

Maggiore sperimentazione

Il ristretto bacino d’utenza dei nano-influencer può fornire un ulteriore vantaggio sul fronte della sperimentazione. Infatti, le collaborazioni con i creator più piccoli offrono ai brand la possibilità di testare la ricezione di nuovi prodotti in un contesto più ristretto prima di lanciarli su larga scala.

Una strategia vincente

All’interno di un sistema digitale dispersivo, dominato da influencer con milioni di follower, puntare su profili più piccoli può essere una scelta vincente. Se vengono selezionati e gestiti con la massima cura, i nano-influencer si rivelano essere partner di valore sia per i brand più grandi che per quelli più piccoli, che possono giovare di una soluzione vantaggiosa anche sul fronte economico.
Sicuramente, l’influencer marketing non ha solo a che fare con il numero di follower – una cifra che, comunque, conta sempre meno del tasso di interazione. 
La cosa più importante, infatti, è individuare i “giusti” creator, in linea con i valori, le esigenze e gli obiettivi del brand. Per generare brand awareness, ad esempio, un mega-influencer può essere la scelta migliore. Se invece si desidera raggiungere un target specifico, allora puntare su influencer con numeri più contenuti potrebbe essere la soluzione più adatta. 
L’ideale sarebbe coinvolgere creator con pubblici di diverse dimensioni all’interno di una stessa campagna: combinando queste diverse risorse in modo strategico, è possibile ottenere un risultato soddisfacente su più fronti.

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Threads spodesterà X? Scopriamo il nuovo social di Zuckerberg

7 Febbraio 2024

Fra la fine del 2022 e l’inizio del 2023, un barcollamento sulla reputazione di X (ex Twitter) nell’ambito del microblogging, ha aperto la strada a possibili competitor. Mark Zuckerberg non se l’è fatto ripetere due volte, lanciando Threads nel luglio 2023, a neanche un anno dall’acquisizione di Twitter da parte di Musk nell’ottobre 2022.
In Europa, però, Threads è disponibile solo da dicembre 2023. Gli utenti stanno ancora prendendo confidenza col mezzo e la piattaforma stessa sta cercando di capire in che direzione muoversi. Sarebbe prematuro esprimere un giudizio su questo nuovo social dopo appena sei mesi (e sarebbe impossibile farlo dopo un solo mese), ma possiamo sicuramente tracciare qualche coordinata di partenza per cominciare ad esplorare limiti e potenzialità dell’alternativa offerta da Meta. Prima di tutto, una domanda sorge spontanea: Threads è una copia di X – bella o brutta che sia – o aggiunge effettivamente qualcosa di nuovo all’affollato panorama social?

Threads


L’interfaccia di Threads non è molto simile a quella di X, ma ovviamente si incentra anch’essa su messaggi brevi (scritti) che possono essere accompagnati da immagini, gif, video. Tuttavia, alcune funzionalità sembrano favorire una maggiore interazione fra gli utenti, mentre altre potrebbero precludere a Threads la possibilità di diventare un degno sostituto di X.

Follow

Chi ha popolato Threads in questi suoi primi mesi di vita ha assistito alla tipica euforia che caratterizza la fase iniziale di ogni nuovo social. In questo caso, l’ultimo arrivato giova del collegamento diretto con Instagram, favorito da Meta. A ogni nuovo iscritto viene offerta la possibilità di seguire in automatico tutti i profili che già segue su Instagram: questa funzionalità permette alla maggior parte dei nuovi profili di partire già con un discreto numero di seguaci. Inoltre, sulla piattaforma impazza il “follow 4 follow”, ossia la pratica di seguirsi a vicenda. Si tratta, naturalmente, di una “promessa” che il più delle volte viene a mancare sul lungo periodo, ma nel caso di Threads c’è un dettaglio che potrebbe cambiare le carte in tavola in materia di follow/unfollow. Infatti, se su Instagram è possibile vedere sia il numero di follower che il numero di profili seguiti, su Threads è possibile vedere solo i follower. Quindi, se su Instagram i profili di maggior prestigio sono quelli in cui il numero di follower è nettamente superiore al numero di profili seguiti, su Threads la questione non si pone: per mantenere alto il proprio “status” non è necessario preoccuparsi di quanti (e quali) profili si decide di seguire perché il dato non viene reso pubblico dalla piattaforma.

Interazioni

Inoltre, su Threads non è possibile vedere il numero di quelli che su X vengono chiamati “retweet”, ossia il numero di volte in cui un determinato contenuto è stato ricondiviso. Anche questa metrica sembra dunque perdere valore rispetto a X, in favore piuttosto di un’interazione più diretta. Dopotutto “threads”, in inglese, significa “discussioni”, e rimanda agli omonimi threads dei forum, piattaforme di discussione che esistono ancora oggi, ma che dopo l’avvento dei social si sono decisamente svuotate. Eppure, i forum offrono agli utenti un’occasione per discutere di argomenti di comune interesse in maniera ben più approfondita di quanto sia possibile fare sui social. Pensiamo allo stesso X, che proprio sulla brevità (280 caratteri per tweet) ha costruito la propria ragione d’essere. In questo senso, Threads offre qualche carattere in più per esprimersi (500), oltre alla possibilità di modificare il messaggio entro i primi 5 minuti dalla pubblicazione. Anche i video, su Threads, durano di più, con un massimo di 5 minuti contro i 2 minuti e 20 di X. L’impossibilità di inviare messaggi privati, poi, è un ulteriore incentivo a discutere direttamente sulla piattaforma.

Messaggi vocali

Non dimentichiamo, in ultimo, quella che è forse la più grande novità che Threads introduce rispetto a X, ossia la possibilità di inviare messaggi audio di massimo 30 secondi, con o senza trascrizione automatica. Questa opzione offre un grande potenziale sul lato dell’interazione: sentire la voce dell’interlocutore, anche se per pochi secondi e in differita, contribuisce a metterne in luce gli intenti – seri o ironici che siano – dando vita a interazioni più limpide rispetto a X, in cui la brevità lascia spazio a messaggi caustici, litigi e fraintendimenti. Tuttavia, questa funzionalità potrebbe portare con sé altri problemi.
Nei primi giorni di Threads in Italia, infatti, si è parlato molto di uno degli audio ricevuti da Giorgia Meloni in risposta al suo primo post: un sonoro rutto. La goliardata ha fatto sorridere molti, ma ha anche messo in luce una maggiore difficoltà nel moderare i contenuti audio rispetto a quelli scritti, sollevando diverse polemiche.

Argomenti di conversazione

A differenza di quanto avviene su X e su Instagram, su Threads è possibile inserire un solo hashtag per indicare la tematica del post. Inoltre qui gli hashtag, privati dell’iconico cancelletto che ha caratterizzato X (Twitter) fin dai suoi albori, possono essere costituiti da intere frasi, con tanto di spazi e caratteri speciali. Ricordano, visivamente, i tag di Facebook, e tendono a riferirsi a specifici argomenti di conversazione, spesso legati ad ambiti ben precisi: Bookthreads, ad esempio, accomuna scrittori, editori e appassionati di romanzi.

A livello di tematiche, Threads ricorda un po’ il Facebook delle origini, con gli utenti che tendono a discutere di interessi ed esperienze in comune. Rispetto a X, c’è meno interesse per l’attualità e per le notizie in tempo reale, nonché per i temi sociali e per la politica in generale – lo stesso Adam Mosseri, Head of Instagram, ha dichiarato che Threads non è progettato per dare la priorità a contenuti di questo tipo. Manca, inoltre, la sezione dedicata ai trending topic, gli argomenti di tendenza su cui X basa gran parte del proprio appeal, e diversi utenti si chiedono se sia una piattaforma adatta a commentare eventi in presa diretta. Per certi versi, risulta difficile credere che Threads possa effettivamente sostituire X.

Fra passato e futuro

Ci troviamo in una fase di rodaggio in cui è difficile stabilire con certezza tanto la “morte” di X quanto l’aspettativa di vita di Threads, che qualcuno dà già per morto.
Per il momento, Threads non sembra un’alternativa efficace a X, ma qualcosa di diverso. Un social che, come recita una celebre tradizione nuziale, include qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio e qualcosa di prestato (da X, ma anche da Instagram).

Tornando sul fronte dell’interazione, bisogna specificare che il bacino d’utenza di Threads è ancora limitato e quindi l’algoritmo prende in considerazione, per i contenuti che appaiono nella sezione “Per te”, l’inerenza alle precedenti interazioni dell’utente più che la risonanza che i post stessi hanno ottenuto, quindi capita spesso di vedersi comparire post di illustri sconosciuti, con appena una manciata di like e risposte, che parlano di argomenti che ci interessano, e a cui viene naturale rispondere.
Questo ci riporta indietro nel tempo fino all’epoca del web 2.0, se non addirittura 1.0., quando ad avere internet erano poche persone e quindi, specie all’interno di un ambito specifico, era semplice ritrovarsi a discutere con perfetti sconosciuti. Le gerarchie esistevano, ma non erano rigide e insormontabili: i webmaster dei siti più visitati godevano di un certo prestigio all’interno della loro nicchia, ma non erano celebrità irraggiungibili. Con l’avvento degli influencer su Instagram e TikTok stiamo invece tornando a un modello di comunicazione più vicino a quello che caratterizza la televisione, in cui un personaggio pubblico parla a una folla di spettatori che ascoltano, ma che difficilmente saranno ascoltati a loro volta, se non a livello statistico. Questo avviene anche su X, con gli utenti che spesso e volentieri puntano a farsi notare più che a interagire con gli altri.
E allora un po’ di sana conversazione con una manciata di estranei, con nessun scopo recondito oltre al fatto di parlare di una cosa che ci interessa, non può che costituire una bella boccata d’aria fresca. E poi che succederà? L’utenza aumenterà, e quindi si ripresenteranno le stesse dinamiche che separano influencer e pubblico sugli altri social?
Oppure diminuirà, causando l’effettiva morte della piattaforma?
Quel che è certo è che non ha senso effettuare un’autopsia prima del tempo.

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Real time marketing: come Renault ha risposto a Shakira

30 Gennaio 2023

Il nuovo singolo di Shakira, Music Sessions Vol 53, è diventato virale.
Nel testo, la cantante si scaglia contro l’ex marito, il calciatore Gerard Piqué, e la sua nuova fidanzata, Clara Chia Marti, con un verso in particolare: “Hai scambiato una Ferrari con una Twingo, hai scambiato un Rolex con un Casio“.
Insomma, Shakira associa sé stessa a due brand di lusso (Ferrari, Rolex), ponendoli in contrasto con i due marchi a cui associa la rivale (Twingo, Casio): il paragone ha fatto furore, scatenando l’ironia del web.
Come spesso accade, gli utenti sono stati più veloci dei brand: in pochissimo tempo è nato un account fake di Casio che su Twitter ha pubblicato risposte divenute virali come “Non saremo Rolex, ma i nostri clienti ci sono fedeli” (un riferimento al fatto che Piqué abbia tradito Shakira) e “La batteria dei nostri orologi dura più della relazione di Piqué e Shakira”.

Renault ha adottato un approccio simile sui suoi canali social ufficiali, riconnotando in positivo alcune caratteristiche del proprio prodotto mediante riferimenti diretti al testo della canzone. Se Shakira, rivolgendosi a Piqué, dice di essere sprecata “per tipi come te”, Renault ribatte sostenendo che il modello in questione è invece specificatamente rivolto a “tipi e tipe come te”. Presentando la Twingo come un’automobile per tutti, Renault ne valorizza l’accessibilità in contrasto con il lusso della Ferrari, per molti irraggiungibile, a cui Shakira si accosta. È un concetto curiosamente simile al celeberrimo Think Small della storica campagna di Wolksvagen del 1959, per cui la semplicità diventa un punto di forza.

Pa tipos y tipas como tú. ¡Sube el volumen! #Renault #Twingo #claramente #joven #urbano #eléctrico #ágil #Icónico #compacto #travieso pic.twitter.com/eND207qM3H

— Renault España (@renault_esp) January 12, 2023

La risposta più eclatante è arrivata, a sorpresa, con un’insegna fisica. Fotografato da numerosi passanti, il cartellone pubblicitario – posto nei pressi dello stadio di Barcellona, in cui si allena Piqué – ha presto fatto il giro del web.


Qui troviamo diversi copy che, citando il testo della canzone, mettono in luce i punti di forza della Twingo in contrasto con la relazione fra Shakira e Piqué. ad esempio: “Da 0 a 100 in più tempo di quanto è durato il vostro matrimonio” e “Il nostro motore non ti lascerà mai, il tuo ex marito lo ha già fatto”.

Più sottile la risposta di Renault Colombia (paese Natale della cantante), che su Twitter promette a Shakira di amarla per sempre (sottinteso: a differenza di suo marito).

Twingo te va a querer siempre @shakira
Lo prometemos. #Twingo #Twingo30años https://t.co/y387N5fNWy

— Renault Colombia (@Renault_Co) January 12, 2023

Insomma, da un lato Shakira ha sminuito la Twingo paragonandola alla Ferrari, dall’altro Renault ha posto l’enfasi proprio su ciò che la distingue da un’auto di lusso e ha “studiato” bene il testo della cantante per rispondere con frecciatine altrettanto fulminanti.
Ritrovandosi inaspettatamente al centro di un evento mediatico di ampia portata, Renault ha colto l’occasione per prendere le redini e ribaltare la situazione con ironia e tempestività.

Noi possiamo aiutarti a valorizzare l’identità del tuo brand in ogni occasione. Contattaci!

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Neuromarketing: il potere della scienza applicata al marketing

22 Maggio 2019

Fondere il marketing tradizionale con la neurologia e la psicologia: una particolare “mistura” che chiamiamo neuromarketing. Una commistione tra scienza medica ed economia ormai divenuta una teoria – scientifica! – di riferimento per il marketing e le sue sfumature, tra retail fisico e web, grazie alle possibilità che essa offre nell’individuare canali di comunicazione che mirano dritto dritto ai processi decisionali d’acquisto. Perché il neuromarketing si prefigge un obiettivo tanto visionario quanto concreto: illustrare ciò che accade nel cervello delle persone, prima che queste diventino utenti, o clienti, analizzando alcuni stimoli indotti da prodotti, brand e advertising, per creare strategie forti il cui obiettivo porta direttamente… a un click sul bottone “check out”.

Alla base del neuromarketing c’è una ricerca:

Fu Ale Smidts, ricercatore olandese, a occuparsi per primo di neuromarketing, oltre che a coniarne il nome: correva l’anno 2002. E proprio Smidts scopri come alcune zone del sistema cerebrale umano siano decisamente più attive durante l’esecuzione del processo decisionale – vere e proprie lampadine a intermittenza – legato all’acquisto. Come scoprì tutto questo? Attraverso sistemi di risonanza magnetica funzionale ed EEG, ovvero encefalogrammi, per dare una spiegazione neurocognitiva agli stimoli più puramente emozionali. La finalità dell’esperimento? Quello pubblicitario e strategico, per aiutare i big brand a determinare l’appeal e la potenza comunicativa dei loro prodotti e il percepito della loro comunicazione.

Due casi-test esemplificativi

Martin Lindström è l’autore di “Buy-ology”, best seller del campo marketing e vendite: nella sua opera, l’autore ha dedicato ampio spazio a un test che vede protagoniste le controindicazioni riportate sui pacchetti di sigarette: attraverso l’intervista a un campione di fumatori impenitenti, a cui è stato chiesto quali effetti avessero questi messaggi, è stato dimostrato che, sebbene molti di loro avessero dichiarato un “ripensamento” sul fumo, i loro centri nevralgici, monitorati da un EGG, dichiaravano una forte, fortissima voglia di fumare.

Anche il famoso Pepsi Challenge Test costituisce una splendida allegoria di quello che è il potere del neuromarketing: ai consumatori-campione è stato chiesto di scegliere tra due tazze bianche contenenti, rispettivamente, Pepsi e Coca-Cola. I risultati sono stati stupefacenti: la maggioranza di chi ha preso parte all’esperimento ha asserito di preferire la Pepsi, senza sapere cosa ci fosse in realtà nelle tazze. Ma non solo: quando è stato loro domandato se avessero bevuto Pepsi o Coca-Cola, quasi tutti hanno detto di aver bevuto quest’ultima. Perché? Perché ha vinto l’immagine di brand più forte, con oltre un secolo di ADV serrata e di riconoscibilità assoluta. Quando la fedeltà al marchio va oltre la percezione del reale.

Neuromarketing: quali campi di applicazione?

Pensiamo all’ecommerce, ma pensiamo anche alle strategie di re-branding, o di branding “da zero”, fino alla user e customer experience: tutto questo presuppone una visione del marchio, dei suoi valori, della sua unique selling proposition, e della sua capacità di ammaliare che parte proprio dall’impatto. Infatti, le persone ricordano un marchio, e l’esperienza che questo sa regalare, quanto più questo è in target con i loro bisogni, le loro necessità, i loro gusti, anche indotti. E, il rovescio della medaglia, vede protagonisti i brand, che hanno ormai la grande responsabilità di conoscere alla perfezione il proprio pubblico. Perché non utilizzare, dunque, all’interno delle proprie strategie di branding, che comprendono sito web, esperienze di navigazione e di acquisto, campagne pubblicitarie, gestione dei social media, e molto altro, il coinvolgimento emotivo? Non parliamo di sola e pura emozionalità, ma anche di suscitare un’urgenza di acquisto: e tutto questo è applicabile anche nel settore retail e shop concreto, non solo a ciò che è legato al mondo web.

Come fare? Beh, laddove non sia possibile testare la risposta cerebrale agli stimoli con un EEC dei propri clienti, cosa decisamente non facile, possiamo dedicare un po’ del nostro tempo ad alcuni testi che aiutano a comprendere e ad applicare modelli di neuromarketing alle strategie: un titolo che ha spopolato in Siks ADV è certamente “Brainfluence” di Roger Dooley che, attraverso 100 esempi pratici, propone esperimenti ed esempi di “decision pattern” tutti da applicare.
Non ci resta che augurarvi buona lettura!

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Instagram: metamorfosi estetica? Ecco cosa sta succedendo

9 Maggio 2019

Instagram, da reale trend-setter popolato dagli ormai ultra-noti influencer, muta aspetto in tempi vertiginosi, velocissimi: non tanto per il layout, come fa il cugino Facebook, ma proprio a livello di aspetto, di mood delle immagini che lo popolano.
Un cambiamento di estetica guidato dalla Generazione Z dove i millennials, con le loro immagini di caffè e pc, non si trovano più così a loro agio. La metamorfosi sta, ovviamente, prendendo piede soprattutto negli USA, come testimonia il magazine The Atlantic, ma viene da chiedersi se questa contagerà presto anche il vecchio continente.

Gli utenti crescono (o meglio, cambiano) e l’estetica si plasma:

La piattaforma Instagram è cresciuta così tanto negli ultimi 2 anni da arrivare a contare quasi 1 miliardo di utenti mensili. Ed è proprio questa massa che sta apportando un reale cambio di estetica: i protagonisti sono ora pareti luminose, lattine disposte ad arte, toast all’avocado, l’aspetto curato, patinato e lucido, le luci fredde e correzione cromatica fai-da-te. Niente più calore, niente più filtri Lo-Fi. E le foto che impersonificano queste tendenze riscuotono un tale successo che il mood è ormai sinonimo della piattaforma stessa; anzi, sta dilagando all’esterno.
Proprio The Atlantic ci invita a “farci caso”: anche se non utilizzi l’app, hai sicuramente incontrato, in un ristorante, in un bar, un bagno dai colori vivaci che sembra fatto apposta per essere fotografato.

Sempre The Atlantic interpella, poi, James Nord, Amministratore Delegato di Fohr, una piattaforma di consulenza e gestione specializzata in influencer marketing, il quale afferma di vedere ogni giorno questo cambiamento direttamente nei numeri – in termini di follower – dei suoi clienti: “Ciò che ha funzionato prima, ora non funziona più“, dice. “Per la prima volta, gli influencer si scontrano realmente con il problema di poter continuare a crescere mentre i gusti degli utenti Instagram cambiano repentinamente. Un anno fa, un influencer poteva pubblicare uno scatto con mani ben curate su una tazza di caffè e fare man bassa di mi piace, ma ora non più.”

Sempre secondo Fohr, il 60 percento degli influencer con più di 100.000 follower in realtà sta perdendo centinaia seguaci, mese dopo mese. “È piuttosto impressionante“, dice Nord “Essere un influencer che, nel 2019, fa ancora coloratissimi scatti in piedi di fronte agli ‘Instagram wall’ è difficile.”

Musei e big fun art a portata di scatto

Facciamo un passo indietro: “Instagram wall”? Sì; anzi, oltre ai muri di più: perché esistono veri e propri “musei” creati apposta per gli scatti social. Almeno Oltreoceano. E si tratta di reali manifestazioni di quell’epoca che il critico di Artnet New Ben Davis ha chiamato “Big Fun Art”. Infatti, i social come Instagram hanno portato a un modo più popolare di consumare cultura: ovvero, attraverso questi musei-contenitori di installazioni coinvolgenti, fatte di gomma, marshmallows, biglie, così divertenti e foto-friendly, dove basta pagare un ticket di ingresso – dai 30 dollari ai quasi 200 di un vip pass – per i propri scatti da esporre sul social a caccia di nuovi likes.
Ma, anche qui, qualcosa sta cambiando: pare che queste location multicolor non siano poi più così appetibili perché non più in sintonia con la nuova estetica in arrivo da Instagram, fatta di luci fredde e di pose molto meno plastiche.

La dura vita dell’Influencer

Certo, la piattaforma stessa potrebbe essere parzialmente responsabile di come si sono evolute le cose: ma sono i gusti di chi popola Instagram a dettare legge, la loro età, e il loro senso estetico, trasmettendo queste necessità anche agli influencer stessi, i quali, in più casi, hanno denunciato  casi di burnout e di stress causato dal dover a tutti i costi mantenere la perfezione. Un motivo in più per abbandonare il proprio stile, cedendo a quelle che sono le richieste degli utenti, pena la perdita del titolo di trend-setter.

Che cosa succederà in Italia nei prossimi mesi? Lo scopriremo, e vedremo se questa tendenza spopolerà anche nel nostro paese. Nel mentre, curare al meglio la propria presenza sui social, prestando massima attenzione ai trend, applicandoli alla propria strategia sembra essere la soluzione migliore.
Come? Non hai una strategia? Bene, allora qui possiamo aiutarti noi!

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