• Home
  • Works
  • Our world
  • Travellers
  • Journal
  • Contacts
  • Skip to main content
Siks adv

Siks adv

Creative communication agency

campagna di sensibilizzazione

Ikea contro il cyberbullismo: le campagne che corrono sui social

11 Luglio 2019

Il fenomeno del cyberbullismo è ormai di portata mondiale: le società iper-tecnologiche, infatti, registrano un aumento esponenziale di questa forma di violenza silenziosa.
I dati del Centro Nazionale di Ascolto parlano di un 15,9% di ragazzi italiani vittima quotidiana di bullismo online.  E questo essere sempre “always on”, iper-connessi e iper-raggiungibili, rappresenta una modalità di utilizzo della rete senza filtri in cui gli adolescenti non sono in grado di proteggersi come gli adulti saprebbero fare.

Un tema, questo, caro anche al mitico brand svedese Ikea: perché Ikea, oltre a proporre ADV incentrate sulla comunicazione di brand e di prodotto, si focalizza con grande attenzione anche sulle tematiche sociali, con sincerità e con creatività.
Sincerità, perché il brand svedese conosce il suo potenziale comunicativo e di reach; e creatività perché la fantasia e le idee in fermento sono il miglior veicolo con cui catturare l’attenzione di chi legge, guarda, ascolta.
In particolare, Ikea ha lanciato ben due campagne negli ultimi anni, tra il 2018 e il 2019, durante le giornate contro il cyber-bullismo utilizzando non solo i social, ma anche l’esperienza diretta di studenti under 18. Vediamole insieme!

2018: “Bully a plant”

I danni del bullismo, sotto gli occhi dei più giovani, in veste di esperimento scientifico condotto con i propri professori della scuola secondaria: così il gigante svedese ha fatto registrare a ragazzi delle scuole medie, negli Emirati Arabi, una serie lunghissima di messaggi contenenti insulti e messaggi d’affetto, affinché fossero poi riprodotti ad alcune piante. E, incredibilmente, le piante che hanno subito durissimi commenti negativi sono appassite dopo 30 giorni, mentre quelle che hanno potuto “ascoltare” i rinforzi positivi sono rimaste in salute.
Il portavoce di IKEA ha dichiarato: “Questo test è stato creato da IKEA per gli Emirati Arabi Uniti per sostenere la giornata mondiale contro il bullismo, per aiutare i bambini a capire gli effetti del bullismo, educando i più giovani a questo argomento, con reazioni plausibili sotto i loro occhi, affinché avvenga la diffusione della gentilezza, che aiuta tutti a crescere e prosperare “.
E poco importa se le comunità scientifiche hanno valutato come poco veritiero il risultato dell’esperimento: quello che conta è come i più giovani abbiano potuto toccare con mano gli effetti della comunicazione “shaming”.

2019: Ikea “sensitive rooms”

Una big issue di apertura: “oggi, gli adolescenti non si sentono più sicuri a casa. Perché nelle loro stanze entra una invisibile violenza: il cyber-bullismo“; e un video che spiega in un minuto e mezzo questa iniziativa.
In particolare, Massimiliano Santini, Web&Social Media Leader di Ikea Italia, ci racconta, nello speakeraggio del video, l’iniziativa lanciata per la giornata italiana contro il cyber bullismo. Molto semplicemente: allestimenti e rendering di camere dedicate agli adolescenti, sul profilo Instagram, sono state oscurate da un watermark che indica “contenuto sensibile” durante la giornata nazionale di sensibilizzazione sul tema.
E la stessa cosa è stata replicata anche nei punti vendita fisici dove, all’interno dei reparti dedicati ai più giovani, sono apparse delle tendine con lo stesso messaggio veicolato sul web. Una tendina da valicare, ovviamente, e dove trovare, dietro di essa, contributi audio e video che raccontano come sia immediato l’effetto che questa forma di violenza porta anche nei luoghi in cui ogni adolescente dovrebbe sentirsi al sicuro e protetto.
Non solo: il “contenuto sensibile” è ciò che migliaia di adolescenti vivono nella loro stanza.
Una campagna social la cui portata è stata davvero ampia: oltre 7,4 milioni di persone raggiunte online, grazie anche all’hashtag #notinmyhomepage, per una diffusione totalmente organica e che è riuscita ad andare dritta al cuore del problema.

Un’idea creativa, quando incontra contenuti semplici, efficaci e comunicativi, riesce a ricevere risultati realmente importanti: e questa case history Ikea può fungere da memorandum per tanti altri brand, ricordandoci sempre quanto sia utile comunicare messaggi attuali e di come essere ambassador riconosciuti possa contribuire a gettare attenzione sulle problematiche che più ci stanno a cuore. Un lavoro sicuramente non facile, così come non è facile conquistare una brand awareness sempre efficace e positiva, ma utile a renderci protagonisti di una comunicazione in grado di andare oltre il marchio e oltre il commerciale.

Articoli recenti

  • Assistenti vocali, fra multitasking e SEO vocale
  • Spotify, la musica è cambiata
  • Treccani e i meme: divulgare cultura al tempo dei social
  • I social di Treccani e la cultura dei meme
  • TikTok: come funziona l’app che fa “tremare” Instagram
  • Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare
  • Immagini, advertising, responsabilità: gli errori imperdonabili delle maison di moda
  • Think Sustainably ed Ecosia: quando la tecnologia è amica dell’ambiente
  • Facebook e il cattivo rapporto degli algoritmi con il nudo artistico
  • Siks Adv firma #sempreconte, la nuova campagna abbonamenti U.C. Sampdoria

Filed Under: Advertising, Campagne Marketing Tagged With: campagna di sensibilizzazione

Social Media: quando gli statement fanno di te un brand

29 Maggio 2019

L’orizzonte della fidelizzazione sui social è sempre più vicino? The Global Webindex’s flagship report on social media sembra proprio affermare di sì, con i suoi dati, secondo i quali il 22% dei consumatori dichiara di seguire fedelmente almeno un brand e secondo cui il 42% degli utenti dichiara di usare – finalmente – i social per cercare nuovi prodotti entrando in contatto con nuovi brand. Sempre secondo il survey, il 58% di questi utenti vengono classificati come “FOMO”, ovvero consumatori “fear of missing out” e che, quindi, non vogliono perdere nessuna novità. Ma se, dietro a questi dati, il fattore umano ormai fosse importante quasi quanto quello della usability, diventando il mattone che poggia ed eleva le fondamenta dettate da user experience, dal customer care, e dall’esperienza di brand?

Sì: questi dati “ispirano” i social media strategist, spingendoli sempre un po’ più in là in quello che è il premiare i propri follower – è il caso di Trussardi, come ci racconta Franz Russo, con la case history di “Dreambox”, che sta registrando un’ascesa reale su Instagram -. Ma, sempre questi dati, riportano direttamente alle scelte e alle prese di posizione messe in campo dai brand: infatti, molti di essi, soprattutto nel campo beauty e moda, dimostrano quella che potremmo definire come “una spiccata personalità” e una grande, grandissima voglia di interfacciarsi con la vita reale dei propri utenti. Le loro necessità. Le loro aspettative. Il loro rispetto.
Un esempio? Ce lo dà Zalando Italia.

Zalando e la scelta “curvy”

Lo scorso 11 gennaio, sulla pagina Facebook del brand e-commerce tedesco, è apparsa una la nuova linea di intimo di Calvin Klein indossata da ragazze bellissime, e vere.
Si direbbe, oggi, “curvy”. Nulla di trascendentale, insomma.
E invece, gli hater non hanno tardato ad arrivare, scatenandosi nei commenti con giudizi poco ortodossi nei confronti delle ragazze. Di fronte a questo esempio di cyber bullismo – perché di questo si tratta – la risposta del marchio è stata lampante:

“Da Zalando ci piace rappresentare e RISPETTARE la bellezza autentica e la diversità delle persone. Allo stesso modo, rispettiamo opinioni e gusti diversi dai nostri e il diritto di esprimerli.
Tuttavia, non accettiamo che la nostra pagina diventi un luogo per diffondere messaggi di odio, offesa o disprezzo: per questo motivo, siamo stati costretti ad oscurare alcuni commenti.”

Esattamente: in barba a ogni netiquette e a ogni policy di gestione della crisi e del community management, Zalando sceglie da che parte stare cancellando i commenti più offensivi.
Quando un brand è in grado di mettere i famosi “puntini sulle ‘i'” per ri-educare e fornire un contributo, attraverso la sua opinione, il web, dando al contempo sicurezza ed eticità all’utente che sicuramente si identifica maggiormente nella modella curvy, che in quella skinny. Un caso non isolato questo, che ha già portato il brand a una crescita esplosiva del traffico e degli acquisti: gli “statement” di Zalando infatti vanno ad accrescere e a rafforzare un customer care accurato, che ascolta culturalmente le esigenze dei consumatori, paese per paese, proprio come testimonia questa infografica.

Quando “dire la propria” significa essere un brand

Prendiamo Dove: un marchio beauty che ha puntato il tutto e per tutto sulla difesa dell’essere donna, e di esserlo nelle sue numerose sfumature.
Oppure, prendiamo Ducati che – in barba al machismo – ha di recente presentato un nuovo concept della campagna pubblicitaria, sostituendo le bellissime modelle con i meccanici e i centauri, in posa sulle moto, con tanto di tacchi e pose plastiche.
Tra realtà e ironia, sembra che la comunicazione del marchio oggi punti sempre più su una necessità di “dire la propria”, uscendo dai cliché abituali per abbracciare un sentire comune, vicino agli utenti reali: una brand experience che comunica con chi acquista, una necessità di ritornare a una comunicazione virtuosa, andando contro a comportamenti nocivi ormai largamente diffusi nella rete.

E questo, come social media strategist, è il consiglio che ci sentiamo di darvi: sui social media corre l’opinione, e la grande possibilità di dimostrare a tutti che, dietro a un’esperienza web perfetta, che nasce tra le pagine di un sito o tra i carrelli virtuali di un e-commerce, batte un cuore vicino a quello degli utenti. Perché la fidelizzazione parla un linguaggio umano.

Articoli recenti

  • Assistenti vocali, fra multitasking e SEO vocale
  • Spotify, la musica è cambiata
  • Treccani e i meme: divulgare cultura al tempo dei social
  • I social di Treccani e la cultura dei meme
  • TikTok: come funziona l’app che fa “tremare” Instagram
  • Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare
  • Immagini, advertising, responsabilità: gli errori imperdonabili delle maison di moda
  • Think Sustainably ed Ecosia: quando la tecnologia è amica dell’ambiente
  • Facebook e il cattivo rapporto degli algoritmi con il nudo artistico
  • Siks Adv firma #sempreconte, la nuova campagna abbonamenti U.C. Sampdoria

Filed Under: Campagne Marketing, News dal Web Tagged With: campagna di sensibilizzazione

Lo storytelling sociale e l’esempio di GLAAD

19 Marzo 2019

Lo storytelling ha un impatto altissimo non solo nella comunicazione più diffusa, comune e quotidiana, tra landing page, siti web e advertising su carta stampata: da diverso tempo, infatti, questa ormai disciplina per eccellenza del mondo comunicativo sta raggiungendo risultati insperati anche tra le istituzioni e nel sociale. Sì, proprio quel “sociale” che finisce con “e”. Perché lo storytelling non nasce con il web, ma è un patrimonio che l’uomo porta con sé dall’alba dei tempi. E oggi, nel nostro blog, vorremmo raccontarvi la storia dello storytelling sociale e di GLAAD. Partiamo!

Un momento: ma cosa fa lo storytelling sociale?

Di storytelling sociale ne parla ampiamente la Rockfeller Foundation, – fondazione americana filantropica che si occupa del raggiungimento dei diritti umani fondamentali – in particolare attraverso la figura del digital director Jay Geneske: dal favorire la connessione emotiva tra chi parla e chi ascolta, usando un linguaggio proprio ma riconoscibile, “sdoganando” anche terminologie ancora poco note, o neologismi, per riflettere su temi caldi, poco dibattuti o ostici.
Solo così, infatti, possono così superare processi complessi di comprensione e di accettazione.

Il caso GLAAD

Ai più, questo nome non dirà nulla. Ma GLAAD è l’acronimo di Gay & Lesbian Alliance Against Defamation (ovvero: “Alleanza gay e lesbica contro la diffamazione”), ed è un’associazione che dal lontano 1990 monitora cinema, televisione, advertising e tutto ciò che ha a che vedere con i media non solo americani, ma internazionali, combattendo ogni tipo di rappresentazione distorta delle persone GLBT. E, da una decina di anni a questa parte, GLAAD è un movimento estremamente attivo anche nel web, non solo attraverso questo continuo monitoraggio del sentiment e delle issue relative al tema dei diritti gay, ma fornendo anche una chiave di lettura fatta di storie quotidiane che raccontano attività, battaglie  e principi saldi su cui si muovono. Perché “GLAAD” – come si legge sul loro sito web – “riscrive lo script per l’accettazione LGBT e, come dinamica forza mediatica, GLAAD affronta questioni difficili per modellare la narrativa e provocare un dialogo che porta al cambiamento culturale.” Insomma, dialogo, script, forza mediatica. Storie vere, raccontate dalla prima persona, collaborazione e creazione condivisa con utenti e pubblico, raccontando storie a “un passo da noi” di grande normalità, eppure spesso incomprese.

Questo è il messaggio-storytelling di GLAAD, diffuso attraverso diverse properties, come un sito web che offre contenuti, opportunità di connessione e opportunità di attivazione, come riporta proprio l’articolo su digital e social storytelling della Rockfeller Institution, e una moltitudine di strumenti, tra cui il blog, aggiornato quotidianamente, per trasmettere messaggi chiari, identificabili, comprensibili che, in questo caso, non hanno un pubblico definito, ma che cercano di arrivare alla collettività nella sua interezza, per individuare, poi, obiettivi sotto-specifici.
Il tutto servendosi non solo degli strumenti web – la loro pagina Facebook è un continuo aggiornamento e raggiungimento di risultati importanti a livello comunicativo e, quindi, umano – ma anche di eventi, come i Glaad Media Awards, che si terranno proprio il 28 marzo prossimo.

Il linguaggio di GLAAD che ci racconta una storia

Glaad, da ormai oltre 30 anni, porta avanti l’importante azione di “shaping the media“, sensibilizzando il mondo “against defamation”, e lo fa raccontandosi, soprattutto attraverso un vocabolario specifico fatto di Media Institute, Engagement, Entertainment Media e, per l’appunto, Stories: le storie di chi vive la propria omosessualità in zone difficili, come nel sud degli USA, e le storie di ciascuno, condivisibili attraverso la piattaforma “Share your story”.

Immedesimarsi, raccontare, analizzare: grazie allo storytelling è davvero facile. E così, può diventare ancora più semplice abbattere i muri di pregiudizi e le barriere dell’intelligibilità semplicemente raccontando una storia semplice, dando voce e immagine a una parte di società non sempre così visibile.

Articoli recenti

  • Assistenti vocali, fra multitasking e SEO vocale
  • Spotify, la musica è cambiata
  • Treccani e i meme: divulgare cultura al tempo dei social
  • I social di Treccani e la cultura dei meme
  • TikTok: come funziona l’app che fa “tremare” Instagram
  • Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare
  • Immagini, advertising, responsabilità: gli errori imperdonabili delle maison di moda
  • Think Sustainably ed Ecosia: quando la tecnologia è amica dell’ambiente
  • Facebook e il cattivo rapporto degli algoritmi con il nudo artistico
  • Siks Adv firma #sempreconte, la nuova campagna abbonamenti U.C. Sampdoria

Filed Under: Social Media Tagged With: campagna di sensibilizzazione, social media marketing

Campagna di Sensibilizzazione Social

9 Marzo 2012

L’agenzia tedesca KolleRebbe ha prodotto questo poster interattivo che mostra l’effetto immediato della benificenza e di come due euro possano fare molto. Inoltre viene scattata una foto del donatore che viene postata su Facebook.
Questa campagna di sensibilizzazione ci ricorda da vicino quella dell’associazione di African Angel, in entrambi i casi si vedevano subito gli effetti della donazione, anche se in maniera diversa 🙂

(Via phibious )

Articoli recenti

  • Assistenti vocali, fra multitasking e SEO vocale
  • Spotify, la musica è cambiata
  • Treccani e i meme: divulgare cultura al tempo dei social
  • I social di Treccani e la cultura dei meme
  • TikTok: come funziona l’app che fa “tremare” Instagram
  • Bill Bernbach: una rivoluzione creativa che ha ancora tanto da insegnare
  • Immagini, advertising, responsabilità: gli errori imperdonabili delle maison di moda
  • Think Sustainably ed Ecosia: quando la tecnologia è amica dell’ambiente
  • Facebook e il cattivo rapporto degli algoritmi con il nudo artistico
  • Siks Adv firma #sempreconte, la nuova campagna abbonamenti U.C. Sampdoria

Filed Under: Campagne Marketing Tagged With: campagna di sensibilizzazione, social media marketing

Copyright © 2023 Siks Adv Srl · Vico degli Indoratori 56/58 r 16153 Genova Italia · +39 010 2530096 · info@siks.it · P. Iva 01623020995

• • • • •
Privacy Policy Cookie Policy