Risale a qualche giorno fa la notizia dell’acquisizione, da parte di Amazon, della MGM (Metro Goldwin Mayer), culla del cinema da quasi un secolo.
Fra i titoli nati sotto la sua ala, ricordiamo grandi classici come Il silenzio degli innocenti, 2001: Odissea nello spazio, Cantando sotto la pioggia, Rocky, La rivincita delle bionde, Robocop, 007.
Al costo di 8,45 miliardi di dollari, l’infinita library di film e serie tv del colosso del cinema costituisce, per Amazon, la seconda più grande acquisizione dopo quella di Whole Foods nel 2017.
“Il vero valore finanziario di questo accordo è il tesoro di proprietà intellettuale del catalogo”, afferma Mike Hopkins, senior vice presidente di Prime Video e Amazon Studios, constatando l’ovvio.
L’aspetto più interessante della vicenda ha a che fare con l’utilizzo che verrà fatto dello sterminato catalogo MGM e con le sue conseguenze, già riscontrabili sul mondo dei media e dell’intrattenimento in generale. Nell’era dello streaming, si sta sfaldando il ciclo che, storicamente, portava un film prima in sala, poi nell’home video, nella pay tv e infine sulla televisione in chiaro, alla portata di tutti.
L’abbiamo visto lo scorso anno con la Disney che, forte del successo della sua Disney+, ha concesso ben pochi titoli per il classico palinsesto natalizio della Rai.
Allo stesso modo, è chiaro che l’interesse di Amazon nella MGM sia volto a rimpinguare la sua piattaforma streaming, Prime Video, di nuovi contenuti.
A perderci, come dicevamo, è soprattutto la televisione: la stessa Disney, negli anni, è stata tendenzialmente restìa a dare in pasto al tubo catodico i suoi più grandi classici (la prima visione Rai di Biancaneve, ad esempio, risale ad appena 10 anni fa), temendo che i passaggi televisivi svalutassero i suoi contenuti.
Sembrava, invece, che la sala cinematografica conservasse il suo prestigio agli occhi della major. Adesso, però, il futuro sembra essere più incerto: la company ha deciso di affidare a Disney+ la première del film Pixar Luca, che non passerà dalle sale cinematografiche neanche dove possibile (in Italia, ad esempio, i cinema sono attualmente aperti). La pandemia, quindi, c’entra solo fino a un certo punto, o meglio: sembra aver legittimato strategie che erano già “nell’aria”.
La giustificazione dietro alla scelta, infatti, prescinde dalle limitazioni dovute al COVID: come dichiarato dalla Disney, Luca andrà direttamente su Disney+ per sopperire alla mancanza di contenuti originali sulla piattaforma, ma soprattutto perché il lancio del precedente Soul direttamente in streaming, lo scorso Natale, era stato un grande successo, portando a un boom di iscrizioni.
Lo streaming viene prima di tutto, quindi: “Data l’importanza della piattaforma per noi, per il mercato e per i nostri investitori, vogliamo essere sicuri di avere sempre contenuti per alimentare la macchina”, dichiara il CEO Bob Chapek.
Poco importa, agli occhi della major, che un gruppo di animatori Pixar si sia lamentato, in forma anonima, ai microfoni di Insider: “Non vogliamo essere soltanto un contenuto di Disney+, questi film sono prodotti per il grande schermo e vogliamo che il pubblico li guardi senza distrazioni, non mentre sta al telefono”.
Per la Disney, invece, un canale vale l’altro: a ottobre dello scorso anno, l’azienda ha creato una nuova divisione dedicata interamente alla pianificazione della distribuzione. Questo significa che, d’ora in poi, gli studi Disney non realizzeranno più film per un canale specifico, ma si limiteranno a realizzare “contenuti”. Sarà la nuova divisione a scegliere, a seconda del contenuto, il canale più adatto fra sala cinematografica, televisione e streaming. La certezza è solo una: prima o poi, il contenuto approderà su Disney+.
Se ad avere l’ultima parola è sempre lo streaming, ribadiamo nuovamente come il confronto fra cinema e televisione veda in svantaggio quest’ultima. Questo perché il cinema “battezza” un film, poi lo lascia andare (salvo eventuali, e ormai rarissimi, ritorni in sala), mentre la televisione giovava del fatto di essere il medium alla fine del ciclo, quello in cui film non più nuovissimi trovavano spazio e riconoscimento, come anziani in un ospizio. L’abbiamo visto con grandi classici come Pretty Woman e Titanic: vengono trasmessi ininterrottamente da più di vent’anni, eppure ogni volta registrano ascolti incredibili. Cosa ancora più rilevante: fanno parlare tutti, tanto che sui social fioccano puntualmente meme a tema.
In questo, la forza democratica della televisione in chiaro sembrava imbattuta… almeno fino a qualche mese fa, quando la stessa Amazon ha lanciato LOL – Chi ride è fuori, primo programma in streaming che ha generato un numero di meme pari a quella di programmi e film trasmessi in chiaro. Il risultato, naturalmente, non si è misurato in indici di ascolto, ma in numero di iscrizioni alla piattaforma. La lezione che la televisione dovrebbe far propria è chiara: realizzare più contenuti originali.
Pensiamo a Netflix, che in pochi anni si è vista circondata da numerosi concorrenti, anche molto potenti, che le hanno sottratto serie e film: la sua strategia è stata quella di cominciare a produrre contenuti per la propria piattaforma, oltre a chiederli in prestito ad altri. E così, da qualche anno a questa parte, Netflix tende a promuovere soprattutto le sue produzioni originali, film e serie tv che potranno sempre far parte del suo catalogo. Chi contrappone il palinsesto televisivo all’offerta delle piattaforme streaming non ha completamente ragione: il catalogo della singola piattaforma non è infinito, soprattutto ora che il mercato si è popolato di competitors che tendono a “rubarsi” contenuti a vicenda, e quello che ci viene presentato sulla pagina principale è un mix fra i nostri gusti personali (ricavati dalle nostre precedenti visioni), le tendenze del momento e, soprattutto, i prodotti su cui la piattaforma vuole puntare, anche se la scelta rimane nelle mani di chi guarda, grazie a un click che ha più potere di un telecomando.
La più grande differenza con la televisione sta nel fatto che le piattaforme streaming non incentivano una visione collettiva in tempo reale: a decretare il successo di LOL su Amazon, ad esempio, sono state persone che l’hanno visto in giorni e orari diversi, nell’arco di un paio di settimane.
Al contrario, quando trasmettono Titanic su Canale 5 è fondamentale il “qui e ora”: i primi meme cominciano a fare capolino con qualche ora di anticipo, ma risultano completamente morti la mattina dopo la trasmissione. Il fenomeno dura giusto il tempo in cui il film è in onda, poi non se ne parla più fino alla prossima replica.
E così, se le reti televisive cesseranno di trasmettere film di terzi, la perdita non starà solo nel fatto di non poterli vedere gratuitamente, ma nel fatto che venga a mancare quella convivialità che caratterizza social e vita reale nel momento in cui una rete televisiva trasmette un film di oltre vent’anni fa e con gli amici commenti: “Quasi quasi me lo rivedo”.
La percezione è che la televisione ci vada a perdere, ma anche il cinema, slegato dalle sale cinematografiche e dalle novità del momento: i grandi classici saranno ricordati come tali senza l’ausilio di un mezzo, quello televisivo, che — a svariati decenni dalla loro uscita — ne permette (e quasi ne impone) la visione a un pubblico il più ampio possibile, scolpendone l’immagine, replica dopo replica, nella coscienza collettiva?