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Campagne Marketing

Gli errori dei brand, ecco come imparare dai fallimenti

22 Agosto 2021

Dagli errori si impara sempre qualcosa.
La situazione ideale è quando a sbagliare sono gli altri: avulsi dal bruciore del fallimento, possiamo analizzare la situazione dall’esterno, con razionalità, e capire quali insegnamenti trarne.
Con questo spirito, diamo un’occhiata ad alcuni dei più grandi fallimenti dei brand, raccolti in un curioso museo a Helsingborg, in Svezia. L’intento dell’esposizione è quello di portare i visitatori alla consapevolezza che anche i colossi contemporanei non sono perfetti. Nella mostra vengono presentati più di cento errori che hanno fatto la storia: ognuno di essi ispira il visitatore a connotare l’insuccesso come un passaggio fondamentale verso l’innovazione.

Succede anche ai migliori brand…

Gli errori dei brand possono essere molteplici: dalla mancanza di coerenza identitaria a un fallimentare studio del mercato, fino a una funzionalità e un pricing poco strategici o a un naming inadeguato.
Naturalmente anche un design inappropriato miete le sue vittime, come quello di una maschera di bellezza, esposta al museo, che ricorda un film dell’orrore.

Dalle lasagne Colgate ai profumi Harley-Davidson

Per quanto riguarda il branding, un colossale tentativo di brand extension finito male è costituito dalle lasagne surgelate della Colgate, uscite sul mercato nel 1982.
I consumatori, di fronte al noto marchio, non sono riusciti a scindere l’universo alimentare da quello dell’igiene orale, immaginando lasagne al gusto di dentifricio: a fronte delle scarsissime vendite, il prodotto venne presto ritirato dal mercato.
Dall’altro lato, anche il senso di pulizia e freschezza garantito dai prodotti di Colgate risultò intaccato dall’associazione con le lasagne, tanto che la vendita dei loro dentifrici registrò un calo. Fu un fallimento su tutta la linea, nato da una scarsa consapevolezza in merito alle caratteristiche del proprio brand e ai valori ad esso associati.

Per un brand è quindi fondamentale conoscere e rispettare la propria identità, il proprio pubblico e l’immagine che questo percepisce del marchio.
Pensiamo ad Harley-Davidson che nel 1996, lanciando una fragranza da uomo, tradì quello spirito libero e “selvaggio”, tipico dei motociclisti, che fece la fortuna del suo brand.

New Coke, nuova consapevolezza

Non tutti i fallimenti vengono per nuocere, comunque: 36 anni fa, è stato un colossale “passo falso” della Coca Cola a permettere al brand di riconnettersi con i suoi consumatori.
Negli anni ‘80, una ricerca di mercato rivelò che molti consumatori preferivano il gusto della Pepsi, leggermente più dolce, a quello della Coca Cola. Venne così avviata la sperimentazione di una nuova versione della bevanda, organizzando dei focus group per testarla: la maggior parte dei partecipanti, a cui venne fatta assaggiare “a scatola chiusa”, la preferirono sia alla Pepsi, sia alla Coca Cola originale.

In occasione del centenario della multinazionale, la storica bevanda venne quindi sostituita da una sua versione più dolce, la New Coke, che debuttò nell’aprile 1985 in Canada e negli USA.


La sede della Coca Cola fu bombardata da migliaia di telefonate e lettere di protesta e, fra tentativi di boicottaggio e dichiarazioni di Fidel Castro, che definì la New Coke un segno della “decadenza capitalista americana”, una cosa divenne chiara a tutti: non si poteva cambiare radicalmente un prodotto che da cent’anni faceva parte della storia americana. A soli 79 giorni dal lancio della nuova bevanda, Coca Cola fu costretta a fare retromarcia, rimettendo in commercio la vecchia formula.

Nonostante i risultati dei focus group testimoniassero l’apprezzamento del nuovo gusto, il legame affettivo alla “vecchia” Coca Cola era molto più forte: poco conta il fatto che la New Coke fosse più dolce, gli americani volevano la stessa bevanda bevuta dai loro nonni e bisnonni. La querelle ebbe il merito di riavvicinare i consumatori alla Coca Cola in un periodo in cui rischiava di venir sorpassata dalla Pepsi: la sua breve assenza permise alle persone di rendersi conto di quanto la bevanda, nella sua versione originale, fosse importante nella loro vita. Coca Cola assunse degli psicologi per ascoltare le oltre 1500 telefonate giornaliere di clienti che rivolevano la vecchia Coke: l’analisi degli specialisti mise in luce come molte di queste fossero associabili, come tono ed espressioni utilizzate, ai discorsi di chi ha appena subìto un lutto in famiglia.
Perdendo la vecchia Coca Cola, i consumatori non persero solo una bevanda, ma una memoria personale e collettiva, un pezzo di storia americana.
Il brand, influenzato dalle tendenze del momento, si era messo a rincorrere il suo competitor, dimenticando il patrimonio storico e culturale che si portava dietro.
Come dichiarato da Donald Keough, che dirigeva la Coca Cola in quel periodo, la cosa migliore da fare era ammettere di aver commesso un errore. Nessuno è perfetto, l’importante è rimediare.

Per imparare a valorizzare l’identità del tuo brand, contattaci.

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Filed Under: Advertising, Campagne Marketing

Email marketing: ecco perché è importante per il tuo brand

10 Agosto 2021

In un mondo dominato dai social, la comunicazione via email è ancora una risorsa importante da integrare nella propria strategia di marketing.
Perché? Scopriamolo insieme!

Cos’è l’Email Marketing?

In pochissime parole, l’Email Marketing è una forma di marketing diretto che utilizza la posta elettronica come mezzo per diffondere contenuti aziendali a gruppi di clienti (privati e aziende), con obiettivi che variano dalla conversione alla fidelizzazione e alla brand awareness.
Questo tipo di comunicazione genera un filo diretto, personale e intimo con il cliente grazie alla possibilità di segmentare il proprio database di contatti, personalizzando ogni contenuto.

Il valore dell’email marketing

In uno scenario in continua evoluzione, l’email continua ad essere il mezzo preferito dai clienti per ricevere comunicazioni da parte delle aziende. Lo dimostra il picco di preferenze ricevute (72%) all’interno del grafico elaborato da uno studio di MarketingSherpa:

La posta elettronica viene quindi prediletta dal 91% dei marketers, che la utilizza come canale strategico principale (dati DMA UK, 2019), tanto che gli studiosi Steve Whittaker e Candace Sidner la considerano una delle applicazioni informatiche di maggior successo mai concepite.
Sebbene la posta elettronica non sia certo “nata ieri”, il mercato dell’email marketing è ancora in crescita, tanto che ci si aspetta un suo ulteriore sviluppo nei prossimi anni: dai 4,5 miliardi di dollari del 2017, si potrebbe passare a un giro d’affari di oltre 22 miliardi nel 2025.

Evidenziamo altri dati funzionali a comprendere i motivi per cui l’email marketing costituisce una risorsa importante all’interno di una strategia di comunicazione integrata:

– L’email è lo strumento di marketing digitale che genera il ROI (Return On Investment) più alto (4300% secondo lo studio Marketer email tracker 2018 di DMA), tanto che ogni euro speso offre un ritorno di 44 euro (dati Direct Marketing Association);

– L’email marketing ha un tasso di conversione del 17% più alto rispetto all’ advertising sui social network (dati McKinsey & Company);

– Per le PMI, le email sono il principale mezzo di fidelizzazione dei clienti, più efficace dei social media e della ricerca organica e a pagamento (dati Emarsys, 2018).

Email Marketing: caratteristiche e vantaggi

Accessibile, immediato, “push”

L’email marketing sfrutta uno strumento immediato e accessibile a tutti: la quasi totalità degli utenti che naviga sul web possiede una casella di posta elettronica, e la sua implementazione su mobile permette che la consultazione delle email avvenga quasi in tempo reale. Si tratta inoltre di uno strumento “push”, che spinge il messaggio verso il pubblico: attraverso l’email, il cliente può arrivare direttamente alla pagina in cui compiere l’interazione desiderata, senza ulteriori interferenze alla conversione.

Filo diretto con il cliente

Mentre sui social facciamo discorsi sostanzialmente pubblici, l’email rappresenta una comunicazione privata, un canale di marketing quasi “one to one” per il livello di personalizzazione che permette di raggiungere.
L’email è diretta, ma poco invasiva: ogni utente può aprirla con i propri tempi. La posta elettronica si presta bene sia a contesti colloquiali, sia formali, conferendo il giusto valore alle comunicazioni importanti.

Esclusività, legame, comunità

La creazione di una newsletter garantisce un senso di esclusività e legame con il brand, favorendo l’instaurarsi di un rapporto continuativo basato sulla fiducia e sulla confidenza: le email non contengono solo messaggi promozionali, ma anche contenuti di valore per gli utenti, che si sentono parte di una comunità.
Ad essere fondamentale è il fatto che gli iscritti abbiano scelto di far parte della lista dei contatti del brand, risultando ben disposti a fruire del contenuto inviato, al contrario di ciò che avviene con altre forme di marketing.

Copertura, tasso di risposta e di lettura

Un’email ha più possibilità di essere letta rispetto a un post sui social network: la prima ha una percentuale di lettura che si aggira attorno al 20%, mentre il secondo viene letto il 6% delle volte in cui viene visualizzato. È fondamentale ribadire, a questo proposito, che l’email ha una copertura più alta perché arriva direttamente nella casella di posta del destinatario, mentre la visualizzazione di un post sui social è soggetta a diverse variabili, fra cui l’algoritmo della piattaforma su cui viene pubblicato, e “sparisce” presto a causa del costante flusso di contenuti. L’email, al contrario, rimane in evidenza, nella casella del destinatario, fino a quando non viene aperta o eliminata. Grazie alle sue caratteristiche, l’email marketing può generare tassi di risposta fra i più elevati nel panorama degli strumenti e dei canali di web marketing.

Vantaggi pratici per le aziende

L’email marketing costa poco e, come abbiamo visto, porta un ottimo ritorno sull’investimento. Più il database di contatti aumenta e minore sarà, in proporzione, il costo di ogni singola email, garantendo un tasso di conversione sempre maggiore a parità di spesa.
L’invio richiede pochissimi secondi e porta a risultati quasi immediati: nell’80% dei casi, gli effetti di una campagna di email marketing potranno essere visibili nel giro di poche ore o di qualche giorno.

Fra le risorse più utili per le aziende c’è il fatto che le performance dell’email marketing siano facilmente tracciabili e misurabili: è possibile risalire ai tassi d’apertura delle email, al numero di click e di conversioni in tempo reale. Sulla base di questi risultati, è possibile studiare gli interessi e i comportamenti del proprio pubblico, ideando strategie sempre più efficaci.

Se vuoi sapere come strutturare una strategia di email marketing per il tuo brand, contattaci.

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Filed Under: Campagne Marketing

Strategia STOP: Soluzione, Tempo, Omnicanalità, Partecipazione

9 Giugno 2021

Probabilmente conoscete già la regola delle 4P, elaborata da Jerome McCarthy nel 1960. Si tratta della strategia di marketing più classica, basata su Product (Prodotto), Price (Prezzo), Place (Punto vendita) e Promotion (Promozione).
Le 4P hanno dato vita al marketing mix, quella combinazione di variabili (o leve decisionali) che permettono ad un’azienda di mettere in atto una strategia di successo. Negli ultimi 60 anni abbiamo assistito a diverse varianti di questo mix, dalle 7P degli anni ‘90 alle 4C, che mettono al centro il cliente.
Oggi ci soffermiamo sullo schema recentemente proposto da Russ Klein, CEO dell’American Marketing Association, che si contrappone direttamente all’utilizzo delle 4P con una nuova strategia denominata STOP. Si tratta di un acronimo che comprende quattro concetti fondamentali, volti a sostituire le 4P: Solution (Soluzione), Time (Tempo), Omnichannel (Omnicanalità), Participation (Partecipazione).

Dal Prodotto alla Soluzione

“Nessuno vuole il tuo prodotto! Tutti vogliono una soluzione”, spiega Klein senza mezze parole. La prima P non è più così importante: tutto quello che i consumatori vogliono è una soluzione ai loro problemi. Anziché puntare sul prodotto, concentrati sul valore aggiunto che può portare nelle loro vite. Anziché decantarne le doti, dimostra quanto sia utile per i tuoi consumatori. La nostra società ha raggiunto un livello di benessere tale per cui le scelte di acquisto dei consumatori, di fronte ad un’offerta che supera di gran lunga la domanda, non sono più influenzate esclusivamente dalle caratteristiche intrinseche del prodotto o del servizio. Al centro di tutto c’è l’esperienza del cliente, alla ricerca di risposte semplici ai suoi problemi e ai suoi bisogni. Non a caso, Klein parla di experience design e spiega: “Henry Ford ha pensato a come rivoluzionare il concetto di viaggio, non a come costruire macchine”. Insomma: se un prodotto assolve al suo scopo (sia esso funzionale o emozionale), ha successo. Tutto il resto sono chiacchiere.

Dal Prezzo al Tempo

Il tempo è denaro, si dice. Ed è vero oggi più che mai. Nell’era del “tutto e subito”, la discriminante non è più il prezzo: il consumatore è disposto a pagare di più per un prodotto o un servizio che risolva il suo problema in modo rapido. Le persone vogliono risparmiare tempo ed energie, per questo cercano soluzioni semplici e veloci!
Se sappiamo che non sarà possibile fornire un prodotto o servizio in tempo breve, è sempre meglio comunicare in anticipo quanto tempo ci vorrà, in modo da non far percepire alcuna “perdita di tempo” da parte del cliente.

Dal Punto Vendita all’Omnicanalità

Considerare il Punto Vendita come uno step fondamentale di ogni strategia di marketing suona a dir poco anacronistico, nel 2021.
Oggi la terza P, che in inglese si riferiva al luogo (Place) in cui avviene la vendita, non può che riversarsi in una pluralità di luoghi, soprattutto virtuali. La customer journey si muove continuamente fra online e offline, tanto che un cliente, al negozio, può mettersi a cercare informazioni su internet e, un secondo più tardi, chiedere al commesso; poi tornare a casa, acquistare il prodotto online e passare a ritirarlo al punto vendita. Risulta quindi fondamentale essere presenti sul territorio e in rete (dal sito ai social, dal desktop al mobile), integrando tutti i canali a nostra disposizione.

Dalla Promozione alla Partecipazione

Oggi non si può più parlare di Promozione nel senso classico del termine: la comunicazione unidirezionale, “top down”, non funziona più. A funzionare è invece una comunicazione bidirezionale in cui il brand si mette allo stesso livello del consumatore e ne incoraggia la partecipazione. I social sono la piattaforma eletta per questo tipo di interazione: l’aveva intuito Chiquita oltre 10 anni fa con una campagna che, oltre a usufruire del nascente Facebook, metteva da parte il prodotto per concentrarsi su valori condivisi con una nuova fascia di potenziali clienti. “I consumatori non vogliono solo comprare, vogliono sentirsi compresi”, conclude Klein, sognando un mondo in cui “il marketing ha meno a che fare con la transazione economica e più che fare con il senso di appartenenza”.

Strategia STOP? Chiedi a noi!

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Presenza e rilevanza nel marketing, i casi Renault e Chiquita

26 Maggio 2021

Rob Walker sostiene che le condizioni che rendono possibile il dialogo fra consumatore e oggetto di consumo siano la salienza e la rilevanza.
Di cosa si tratta?
Scopriamolo insieme prendendo in considerazione due case studies!

Salienza o rilevanza?

Per salienza si intende la conoscenza e la familiarità nei confronti del prodotto e del brand, che si ottiene attraverso la presenza nei media e, quindi, nella mente delle persone. La salienza passa, storicamente, per la ripetizione, che caratterizza oggi solo i più bassi esempi di comunicazione (pensiamo alle televendite).
Oggi, per imprimersi nella mente, e soprattutto nel cuore, dei consumatori, non basta essere fisicamente presenti: qui entra in campo la rilevanza.

Solo presenza, senza rilevanza: il caso Renault

Prendiamo in considerazione il caso di Renault, che negli anni ‘00 lancia una campagna a partire da una fase virale, basata sul creare curiosità intorno a un simbolo misterioso, che compariva ovunque (in tv, per strada, in rete, sui giornali), senza alcuna spiegazione.

Il passaparola funzionò molto bene: il simbolo, dal sapore tribale e quindi facilmente riconducibile al concetto di legame comunitario, portò molti ad immaginare che si trattasse di un nuovo movimento politico estremista, magari legato ai no-global. Nella fase successiva della campagna, al simbolo si unì un indirizzo internet a cui collegarsi, community-c.com.
Gli utenti si collegarono in massa alla community, solo per rimanere profondamente delusi nello scoprire che si trattava di un sito ludico dedicato ad un’auto, la Renault Clio.

La campagna si sarebbe dovuta basare sul fatto che “le sensazioni provate a bordo di una Clio sono un’esperienza unica, in grado di creare complicità fra tutti quelli che hanno vissuto la stessa esperienza, una sorta di sentimento comunitario”: peccato che, ad unire queste persone, era l’ideale quasi anarchico a cui il misterioso simbolo sembrava rimandare, non certo la passione per l’auto.

Renault ha quindi saputo essere presente, ma non rilevante, compiendo l’errore di pensare che ogni comunità fosse unita dagli stessi valori, per cui “una vale l’altra”. Niente di più sbagliato, tanto che nessuno è rimasto soddisfatto da quest’operazione: da un lato gli utenti che si sono collegati alla piattaforma si sono sentiti raggirati da quella che, ai loro occhi, è apparsa come un’operazione meramente commerciale, dall’altro le vere comunità online di appassionati di Clio si sono risentite nel non essere state prese in considerazione dall’azienda. Il tentativo di creare una “Clio Community” attorno alla campagna si è rivelato, dunque, fallimentare.

Presenza e rilevanza: il caso di Chiquita

Il bollino blu del marchio di banane Chiquita, introdotto in Europa nel 1963, diventa presto simbolo di attenta selezione e qualità superiore, come esplicitato dal fortunato claim “10 e lode”.

Ai fini della nostra analisi, vogliamo parlare de “Il mio 10 e lode”, un progetto di comunicazione integrata del 2007 che si poneva un obiettivo ambizioso: trasferire i valori di Chiquita a un gruppo di persone che non acquistavano direttamente i suoi prodotti, ossia gli adolescenti e i giovani adulti.

Come essere rilevanti per questa fascia di pubblico?
Spostando il focus dal prodotto ai giovani consumatori, rigirando il claim a loro favore: “Qual è il vostro 10 e lode?”. È questa la domanda che il marchio ha posto ai ragazzi, abbandonando l’approccio top-down (azienda-consumatore) in favore di una relazione biunivoca, non invasiva, che stimolasse l’interazione con il marchio.

Vennero distribuiti migliaia di bollini blu che non riportavano direttamente il nome del brand, anche se l’associazione visiva era evidente.
L’invito era “Il bollino blu mettilo tu”: in questo modo, Chiquita ha trasferito il suo potere alle persone, permettendo che fossero loro a decretare cosa fosse di qualità nella loro vita, anziché subire un’idea imposta da terzi.
Chi apponeva il bollino era invitato a scattare foto e inviarle a Chiquita, che le ripubblicava in una pagina apposita sul proprio sito web.

In nessun momento della campagna venne mai incentivato l’acquisto del prodotto, ma sempre e solo la partecipazione all’iniziativa, che è stata fondamentale per creare un senso di comunità e di aderenza al valore più profondo del marchio.
Grazie a questa campagna, Chiquita ha saputo rispondere sia alle esigenze di presenza, sia a quelle di rilevanza, resistendo alla tentazione di creare associazioni dirette con il brand e/o forzare l’acquisto del prodotto.

Mettendo in luce la rilevanza del concetto di qualità nella vita quotidiana dei propri consumatori, Chiquita ha saputo instaurare con loro una relazione profonda. La campagna ha fatto scuola, anticipando l’importanza che gli user generated content hanno assunto oggi nella comunicazione social.

Vuoi sapere come strutturare una campagna rilevante per il tuo pubblico? Contattaci.

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Marketing e archetipi: che tipo di brand sei?

29 Marzo 2021

Il termine “archetipo” deriva da archè, che significa principio, origine, e typos, che significa modello, impronta. In poche parole, si tratta di idee innate, rappresentazioni mentali che fanno parte dell’uomo sin dalla sua nascita. Non è un caso che ogni tipo di narrazione attinga, fin dalla notte dei tempi, proprio da questi schemi. Appare naturale, quindi, che anche il marketing possa giovare da queste rappresentazioni così profondamente radicate nell’inconscio collettivo.

I 12 archetipi di Gustav Jung

Ad aver studiato il fenomeno è soprattutto lo psicoterapeuta Carl Gustav Jung, che ha individuato 12 archetipi nella costruzione dei personaggi all’interno delle narrazioni.
Tali archetipi attivano emozioni ricollegabili a quattro fondamentali motivazioni umane:

  • Appartenenza: il bisogno di identificarsi, di sentirsi parte di un gruppo.
  • Stabilità: il bisogno di avere punti fermi, un senso di continuità con il passato.
  • Cambiamento: il bisogno di volgere lo sguardo al futuro, rompere lo status quo.
  • Indipendenza: il bisogno di tendere all’individualità.

È sulla base di questi bisogni che si costruiscono gli archetipi, associabili ai brand in un’ottica di storytelling.

Il Saggio

Il brand saggio è un libero pensatore che mette al centro di tutto la sua razionalità. Il suo obiettivo è osservare e comprendere il mondo, guidare gli altri in un viaggio di scoperta.
Alcuni esempi: Audi, Google, Philips.

L’Esploratore

Il brand esploratore ricerca l’autenticità e promette nuove esperienze. Punta sul senso di avventura, sulla sfida che ti porta a metterti alla prova e a scoprire qualcosa in più di te stesso.
Alcuni esempi: Patagonia, North Face, Marlboro.

L’Innocente

Il brand innocente è caratterizzato da ottimismo e semplicità, purezza, genuinità. È un sognatore, con una visione idealizzata del mondo. Desidera compiacere gli altri, è affidabile e onesto.
Alcuni esempi: Mulino Bianco, Dove.

L’Eroe

Il brand eroe è coraggioso e sicuro di sé. Non sopporta di perdere e non si arrende mai, diventando fonte d’ispirazione per gli altri.
È un archetipo molto presente nei brand che hanno a che fare con lo sport, come Nike e Gatorade.

Il Mago

Il brand mago è un visionario, un creativo che, con immaginazione e arguzia, trasforma costantemente sé stesso e il mondo che si trova davanti.
Alcuni esempi: Disney, Red Bull.

Il Ribelle

Il brand ribelle è un provocatore: vuole sfidare il mondo e infrangere le regole. Fa di testa sua, non gli importa di cosa pensano gli altri. Preferisce essere temuto che amato.
Alcuni esempi: Harley-Davidson, Diesel, Moschino.

Il Burlone

Il brand burlone esprime energia e divertimento. Ama ridere, anche di se stesso. È originale, irruento e irriverente. Vuole godersi la vita senza prendersi troppo sul serio, e coinvolge tutti.
Alcuni esempi: Fanta, M&Ms.

L’Uomo Comune

Il brand uomo comune è onesto e semplice, con un approccio umile, empatico e “terra a terra”, dotato di senso pratico.
Tiene molto all’appartenenza, al legame con le altre persone.
Alcuni esempi: Facebook, eBay, IKEA.

L’Amante

Il brand amante è passionale, sensibile e audace. Regala lusso, piacere ed emozioni intense. Apprezza la bellezza in tutte le sue forme. Alcuni esempi: Nespresso, Müller e Alfa Romeo.

L’Angelo Custode

Il brand angelo custode è generoso, protettivo, premuroso e affidabile. È altruista e compassionevole, empatico e solido, con un grande attaccamento all’ambiente domestico, alla famiglia.
Alcuni esempi: Barilla, Volvo, Mellin.

Il Sovrano

Il brand sovrano fa parte dell’élite: esercita il controllo, detta le regole, è padrone della situazione. È potente, autoritario, esigente. Impone la sua visione.
Alcuni esempi: Mercedes, Rolex, American Express.

Il Creatore

Il brand creatore è anticonformista ma, a differenza del Ribelle, non lo fa per provocare, ma per esprimere sé stesso.
È attento alla creatività, alla libertà di espressione, all’innovazione.
È un sognatore, ma concreto. Alcuni esempi: Apple, Lego.

Archetipi e brand: qualche consiglio

Nel ragionare in merito a quale archetipo si avvicina maggiormente al tuo brand, ricorda che:

  • L’archetipo non è un set di regole da seguire pedissequamente, ma può aiutarti ad esprimere la personalità del tuo brand in diverse situazioni, individuando il tono di voce e il piglio con cui affrontare le situazioni che ti si presenteranno davanti.
  • È normale che il tuo brand possa aderire a più di un archetipo, ma non esagerare! Il massimo è due o tre, altrimenti si rischia di apparire schizofrenici.
  • Non esistono archetipi positivi o negativi: la scelta non dovrà essere compiuta sulla base di una simpatia, ma di una riflessione più profonda.

Vuoi sapere quale archetipo si addice maggiormente al tuo brand?
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Si odia o si ama: Superga e l’importanza di prendere una posizione

10 Febbraio 2021

Si odia o si ama era il claim di una serie di spot di Superga che invasero la televisione italiana a metà degli anni ’90, segnando una generazione.
La campagna, ad opera dell’agenzia Lowe Lintas Pirella Göettsche, mirava a riportare in auge lo storico marchio torinese di scarpe da ginnastica per mezzo di una serie di spot di appena un minuto, girati in bianco e nero.
Noi vogliamo soffermarci su uno di questi, diretto da Tarsem Singh.

Si odia o si ama, il celebre spot del 1996

Un uomo in giacca e cravatta, presumibilmente un “pezzo grosso” di qualche azienda, siede sul sedile posteriore di un’auto di lusso, mentre fuori imperversa il caos: un gruppo di uomini che indossano inquietanti maschere animalesche stanno manifestando, bloccando la strada. La protesta sfocia in una furibonda guerriglia urbana e le forze dell’ordine rispondono con percosse, fumogeni e colpi di manganello. Ad un certo punto, sul cofano dell’automobile del ricco signore si abbatte un rimostrante con una maschera da coniglio.
I due si guardano negli occhi per qualche istante, poi un agente afferra il manifestante che, nel tentare la fuga, perde una scarpa, una Superga.
Con uno stacco ci ritroviamo a casa dell’uomo, siamo nel pieno della più classica cena in famiglia. Il figlio maggiore, mentre bacia la madre, spinge intenzionalmente a terra il quotidiano poggiato sulla tavola. Il padre si china a raccoglierlo, notando che alla figlia manca una delle due Superga.
Lui guarda lei, lei ricambia lo sguardo con occhi carichi di sfida.
Appaiono marchio e payoff: Superga. Si odia. O si ama.

Cosa ci insegna lo spot di Superga

Cos’ha da insegnarci questo spot, a 25 anni dalla sua uscita?
Tante cose, ma soprattutto l’importanza di prendere una posizione, per i consumatori e, di conseguenza, per i brand.

Come recita il payoff, Superga non ammette vie di mezzo: o si ama o si odia.
Allo stesso modo, lo spettatore può provare amore per uno dei due personaggi e, di conseguenza, odio per l’altro.
Prendendo in prestito due celebri archetipi narrativi, possiamo parlare dell’eroe e della sua ombra: sono figure strettamente legate in quanto l’una è la proiezione positiva o negativa dell’altra.

Ecco, quindi, che si delineano due possibili interpretazioni:

L’eroe è la ragazza che protesta per quella che immaginiamo essere una buona causa, mentre il padre è l’ombra (forse è proprio contro la sua azienda che lei stava protestando?).
L’eroe è il padre, un industriale che compie il proprio dovere ogni giorno, mentre l’ombra è la figlia, che protesta alle sue spalle.

L’ambiguità della rappresentazione lascia carta bianca allo spettatore. La forza evocativa dello spot, che è perfino andato incontro a censure (la Rai si è rifiutata di trasmetterlo), sta proprio nel fatto di mettere in scena una contrapposizione nella quale il pubblico può riconoscersi, parteggiando per il padre o per la figlia.

Ma la rivoluzione più grande sta nel fatto che anche lo stesso marchio prende una posizione: tornando alla dimensione narrativa, la perdita della scarpa, come nella celebre fiaba di Cenerentola, simboleggia una prova affrontata, identificando la ragazza come unico vero eroe agli occhi del brand.
In questa cornice, Superga diventa quindi un simbolo di ribellione, trasgressione, anticonformismo.

La contrapposizione messa in scena dallo spot può assumere diverse valenze: si tratta di uno scontro fra classi sociali e stili di vita, ma anche fra diverse generazioni. A risultare particolarmente pregnante è stato proprio quest’ultimo aspetto, accentuato dalle note distorte di Firestarter, hit dei Prodigy che stava spopolando fra i teenager di tutta Europa, diventando una proiezione delle loro inquietudini adolescenziali.
Nello spot, la colonna sonora partecipa alla narrazione in modo complementare, totale: quelle sonorità così estreme e ansiogene riecheggiavano nelle case degli italiani come unghie che stridono sulla lavagna, aderendo perfettamente alle immagini mostrate.

Cosa possiamo imparare da questo spot, quindi?
Partiamo da un assunto: come brand sappiamo di non poter “piacere” a tutti, ma spesso dimentichiamo che non abbiamo bisogno di “piacere” a tutti, anzi.
Più ci distinguiamo, senza paura di alienare una fetta di pubblico, e più il messaggio risulta forte e convincente per i nostri consumatori, quelli a cui davvero piacciamo.

Per gestire al meglio la comunicazione e l‘immagine del tuo brand, rivolgiti a noi.

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